Francesco Mazzi, Marco Ciardo e Francesco Magrini, chiuso il capitolo Kaleidoscopic (l’ultimo disco era stato pubblicato per Woodworm, Dischi Bervisti e DreaminGorilla Recors), ritornano con un nuovo nome, Mush, e un sound ancora più diretto ed efficace.
Mush traccia per traccia
Si parte dalla veloce Aspettando Godot, impatto aggressivo e molto muscolare con il sound della nuova/vecchia band, sottolineato da buone trame di basso. L’inverno batte su tasti simili, con il testo fa riferimento al Trono di spade e ritmiche molto tirate e sanguinose.
Assalti (frontali) quelli che porta Dov’è la fine?, molto arrabbiata e sostenuta con forza da un drumming tempestoso. Non è più agosto aggiunge al tutto un po’ di rancore e anche qualche schitarrata particolarmente evidente.
Vona interrompe il percorso con una lunga introduzione strumentale e con ritmi più moderati, nonché con qualche tendenza psichedelica. Molto più incidente Sospeso nel vuoto, in cui il canto corale si fa incisivo e tagliente. E’ lunedì duplica gli sforzi e la velocità, ottenendo dosi molto vaste di rumore e passaggi sofferti.
Epica e quasi monumentale Tutto (o quasi), che costruisce palazzi sonori su una ritmica tutto sommato semplice. Più veloce Autunni sbiaditi, con una chitarra che scivola sul fondo. Si chiude con Il mio grido più forte, che porta di nuovo atmosfere di tempesta, soprattutto all’inizio, sciogliendo poi le tensioni e poi accumulandole di nuovo, con qualche pizzico di new wave nel sound.
Il disco dei Mush trasmette parecchia angoscia, e probabilmente questo era l’intento degli autori. L’album è potente, ben eseguito e ben scritto, con momenti di cambiamento che lo rendono interessante e vario.