Paprika è il nuovo disco di M¥SS KETA, soltanto un anno dopo Una vita in capslock: l’impressione potrebbe essere quella di un voler sfruttare il personaggio finché dura. Del resto se in copertina metti una tua foto nuda a cavallo di una mortazza gigante non sembri in vena di non farti notare, ecco.
Ma ascoltare il disco fa cambiare, almeno in parte, idea: c’è sicuramente anche il discorso di Battere il ferro finché è caldo, per citare uno dei titoli della tracklist. Ma la rapper mascherata ha probabilmente anche una certa sovrabbondanza produttiva, e infatti il disco è fatto di canzoni “vere”, con tantissime collaborazioni eccellenti a ribadire comunque la centralità del personaggio.
M¥SS KETA traccia per traccia
Inizio a modino per il disco con Also Sparch Elenoire: Elenoire Ferruzzi elenca i propri pensieri a proposito di M¥SS KETA in ventitré secondi.
Con Battere il ferro finché è caldo si entra in argomento: data per scontata la sensualità e i riferimenti sessuali, va notato il calore ondeggiante delle sonorità in cui la Miss si immerge fino al collo e oltre.
Molto più serrati i ritmi di Una donna che conta, con Wayne Santana che fornisce un inciso molto fitto, contrastando con le narrazioni di letto, fatte a elenco, con voce morbida, di Keta.
Main Bitch esplicita le influenze del rap americano sul tessuto del brano, anche se poi le sonorità sono sempre piuttosto soffici, soul-infused (e comunque “sturm-und-drag-queen” è un colpo di genio).
Si apre con il contributo di Gemitaiz Botox Remix, serrata sui ritmi techno-dance-elettronici, con il rap serrato ma quasi laterale e strumentale.
C’è invece Gue Pequeno all’interno di Pazzeska, altra autocelebrazione piuttosto insinuante, con qualche suono di origine orientale, anche se poi quando entra Gue si torna in zona Milano (“sei la più figa delle case Gescal”).
Top prevede l’intervento di Luche, in cui la parte più scioccanti è sentire i nomi di Parmenide e Omero accanto all’elenco di provocazioni su cui si basa il testo.
C’è un background televisivo in 100 rose per te, con Quentin40, a replicare il modello di duetto già visto in precedenza.
Mortacci tua rompe un po’ gli schemi: c’è qualche rimpianto e meno autocelebrazione, e anche un po’ di narrazione per un pezzo dai sapori quasi blueseggianti.
Ecco poi Clique che torna in ambito più sintetico, ritmi ancora morbidi ma pensieri piuttosto chiari.
Trio curioso “di supporto” in Le ragazze di Porta Venezia remix: Elodie, Priestess e Joan Thiele si associano in un pezzo molto femminile (non necessariamente femminista) e con un senso di melodia molto più allargato.
Si balla con B.O.N.O., che ha tempi serrati e un beat molto deciso (“sali in macchina con me/ti porto in mezzo alla natura” fa capire come la camporella abbia un fascino immutato a dispetto del passare degli anni e di quanto si sia urban).
C’è Gabry Ponte a fare da spalla ne La casa degli specchi, claustrofobica e un po’ orrorifica. Riferimenti ad Alice nel paese delle meraviglie finiscono per spalmarsi su un brano che evidentemente animerà i momenti più dance del live.
L’ultimo duetto è quello con Mahmood, nella chiusura morbida del disco con Fa paura perché è vero: un’aura malinconica si leva sul pezzo, cambiando proprio all’ultimo i sapori che sono rimasti in bocca dopo l’ascolto dell’album.
Quello che si può criticare del nuovo disco di M¥SS KETA è la ripetizione dello schema “duetto con ospite rapper”, che appare un po’ troppo spesso all’interno del disco.
Infatti a convincere sono soprattutto i pezzi che prendono una strada diversa, quelli che si divertono di più, quelli che provocano e non stanno troppo attenti alla struttura o all’ospitata.