Naska, “Freak Show”: recensione e streaming
Nascondersi sotto una maschera, trovare protezione, rifugio, conforto. A volte, però, quella stessa maschera sembra voler tenere prigionieri, intrappolati dietro caratteristiche ormai legate al personaggio che sembrano far parte anche della persona. Il Freak Show di Naska sembra voler andare a esplorare due facce della stessa medaglia: terzo album di inediti in tre anni, rappresenta con le sue dieci tracce un percorso artistico in evoluzione ma che non vuole staccarsi dalle sue origini.
C’è ancora quell’attitudine punk rock che ha sempre fatto della produzione di Diego il suo punto forte, ci sono tematiche leggere e dissacranti affiancate a nuove sfumature più cupe, complesse, che fanno emergere nuovi aspetti dell’artista.
Naska traccia per traccia
Io sono questo / Per cambiare ancora è presto / Migliorerò, non adesso / Ma non lo prometto / E non mi pento
Chiaro, dritto al punto, Mi diverto apre le porte sul nuovo mondo dipinto a toni cupi da Naska. Ci scherza, ma non troppo, su quell’attitudine che è croce e delizia: talvolta prova di forza, talvolta sintomo di fragilità, sempre in bilico tra quel che è e quel che sembra. Si poga, senza ombra di dubbio, come rito collettivo universale.
Nati dove non c’è niente / Rottami e fabbriche / Su una strada che si perde / Che di gratis hai solo le sberle
Il cap di una provincia che spesso somiglia più a un numero tatuato su un braccio, un codice identificativo di un punto di partenza difficile. Scappati Di Casa (62015) racconta di un’area geografica precisa, ma anche di un’intero stato mentale: di chi appartiene alla periferia di ciò che luccica, di chi da lontano guarda quel che non comprende, di un inferno che troppo spesso è così solo a causa di chi lo abita.
E siamo tutti sotto shock / Sembra una messa, però hardcore
Ci sono anche Gemitaiz e Greg Willen in Berlino, terzo brano di Freak Show che spinge forte ma che si lascia cantare facilmente nel ritornello, tra paura e delirio di un viaggio non solo fisico ma anche mentale, fatta di serate indimenticabili, se si è così forti da arrivare fino all’alba.
Non sono cresciuto più di tanto / Forse non ho più un’anima / Da vendere al diavolo
La prima ballata, ruvida e consapevole, è Non me lo merito: sentimenti contrastanti, non corrisposti o forse solo non allineati. Occhi che bruciano, stringono, messaggi lasciati senza risposta con la consapevolezza che sia scorretto, ma con l’impossibilità di fare diversamente. L’amore riesce a far male in mille modi diversi, quando non fa star bene.
Quello che immaginavo / Adesso è un POV
Buttiamola un po’ in caciara: La mamma di **** è un po’ la perversione di intere generazioni di adolescenti, solo che ha alzato l’asticella e invece di essere una fantasia diventa realtà. Un sorriso malizioso, un po’ di pepe, tanta voglia di vedere dove si andrà a finire… e Scusa Bro!
E se poi ci vediamo, facci caso / Quel sorriso stampato che hai in faccia ce l’ho messo io
Si prosegue con Baby don’t cry, in cui ancora la relazione non è proprio da manuale, ma attinge da un sentimento e non solo dal desiderio. Si sa, però, che anche se le intenzioni sono nobili non garantiscono il risultato, e qui si soffre, tra incontri clandestini e promesse inascoltate.
Io da te non mi nascondo / Tienimi mentre sprofondo / Insegnami a stare al mondo come riesci a fare te / Prima che mi mangi il mostro
Urla, panico, nebbia fitta, paura. E richieste d’aiuto che sembrano ancora più potenti quando vengono pronunciate da chi sembrerebbe invincibile. Ma la notte angoscia tutti presto o tardi, va a bussare alle porte più inaspettate, e se non trova da soli fa un po’ meno paura. Piccolo arriva forte e chiara al punto, fa venir voglia di tendere una mano, di allargare le braccia, di rassicurare.
In un mondo di merda / Fanno a gara a chi è il migliore / Io, ti giuro, voglio essere il peggiore
Ci si scatena di nuovo, prima del gran finale: Corona di spine sa di urla sotto palco, di ballo scoordinato, di libertà di essere quel che si è, senza etichette, senza problemi se non quelli inevitabilmente nostri.
Tu hai solo un difetto / Che ti fidi di me
Ancora fiducia tradita, anche se questa volta preventivamente: Horror 2 è la fine di una storia prima che finisca, l’attesa del momento in cui si rovinerà tutto per colpa di uno dei due, mentre ancora tutto sembra andare a gonfie vele. Polaroid tutte uguali, felpe prestate e film spaventosi che non si guardano mai senza qualcuno accanto.
Grida, salta ancora / Hai un nodo in gola / Ma non devi piangere
Fingere per lavoro, per dovere, per abitudine. Pagliaccio racconta del disagio dell’artista, della persona, di tutti noi che mascherati ogni mattina affrontiamo il mondo senza fargli sapere davvero come stiamo, come ci sentiamo, cosa proviamo. La vita vuole sempre fare i conti, sembra un oste a fine serata che fa il riepilogo di quello che hai preso e non ha voglia di chiudere un occhio sui bicchieri che hai rotto. Devi pagare tutto, lo sai.
Fedele a se stesso, a quel mood che va dall’impunito all’indifeso, Naska ha saputo bilanciare gli aspetti della sua strabordante personalità in brani legati tra loro e dal sapore ben calibrato: riflessivo quanto basta, dissacrante se necessario, consapevole del proprio fascino e, ben più difficile, delle proprie fragilità. Sarà interessante continuare a veder crescere questo talento, tra le sue contraddizioni e i sorrisi sotto il trucco di scena.