Negozi di dischi: due notizie a confronto #sottotraccia

C’è modo e modo: si può dire così. Ci sono due notizie che vanno in senso opposto, pur riguardando entrambe, in qualche modo, negozi di dischi. Una arriva da Milano ed è luttuosa: chiude Buscemi, uno dei negozi di dischi storici della città. Mi colpisce personalmente perché, in anni lontani e quando lavoravo in zona, lo frequentavo con una certa assiduità, spendendo una sostanziale parte dei miei stipendi di allora in dischi alternativi di cui venivo a conoscenza maneggiandoli in negozio. Mogwai, Arab Strap, Notwist, Kings of Convenience e circa 700mila altri li ho scoperti così. Non è che facessi niente di originale: come tanti, entravo in negozio e mi facevo intortare da una copertina, oppure cercavo quel disco segnalato da quella rivista in particolare, e allargavo di un po’ il mio sguardo.

L’altra notizia arriva da più lontano, da Oran, in Algeria: non chiude, anzi si rilancia quale parte integrante della tutela Unesco per la musica raï, il negozio Disco Maghreb. Il raï, il genere di riferimento di Cheb Khaled, Cheb Mami e di molti altri artisti, è infatti appena stato nominato tra i patrimoni culturali intangibili tutelati dalle Nazioni Unite.

Nato come forma d’arte rurale, negli anni finali della colonizzazione francese del nord Africa, il raï si è confrontato via via con i tabù sociali, parlando d’amore, di libertà, di disperazione. Un po’ come la musica che piace anche a noi che stiamo appena a nord dell’Algeria. Oran è il centro di riferimento del genere raï: ha iniziato a ospitare festival a tema nel 1985 e da allora ha continuato a sfornare talenti, alcuni dei quali poi esportati in tutto il mondo. Ma anche il raï è rimasto vittima della devastante guerra civile che è scoppiata proprio a metà degli anni Ottanta e che è durata dieci anni. Alcune star, tra cui Cheb Hasni, sono rimaste vittime degli jihadisti.

Quando la guerra è finita il genere ha conosciuto alterne fortune, anche a causa di uno scandalo con protagonista Cheb Mami, condannato per violenza contro la sua ex. A rianimare il genere ci ha pensato il franco-algerino DJ Snake, che ha piazzato una hit intitolata proprio Disco Maghreb, tributo al negozio che è anche la sede dell’omonima etichetta, in grado di funzionare per anni come motore propulsivo del genere, ma in difficoltà negli ultimi anni. Sono bastati pochi secondi del clip di DJ Snake per riaccendere l’interesse intorno al negozio, che ha riaperto i battenti e ha ricominciato a funzionare come un tempo (nella foto in alto, Macron in visita a Disco Maghreb, foto da Libération).

Pensarci prima

Difficile pensare e sperare che qualcosa di simile possa succedere anche per Buscemi, o per uno qualsiasi delle decine di negozi di dischi che hanno chiuso in questi anni in Italia. O per uno di quelli che tengono ancora aperto, aggrappandosi unghie e denti a un destino che sembra abbastanza inesorabile.

Perché è vero che si è registrata un’attenzione rinnovata, negli ultimi anni, nei confronti soprattutto del vinile, ma anche e perfino del molto vituperato e “freddo” cd, così come dei possibili garbugli della cassetta. Ma stiamo pur sempre parlando di fenomeni di nicchia. E con la nicchia non ci paghi le bollette, soprattutto quelle del 2022. Buscemi aveva già cambiato faccia, dal 2013: una vetrina più piccola, non più in corso Magenta ma appena dietro, in via Terraggio, ma pur sempre un magazzino molto rifornito e la possibilità di frugare tra qualcosa come 600mila titoli di svariati generi. Probabilmente anche di musica raï, ma non l’ho mai cercata, quindi non lo so dire con certezza.

Fatto sta che questo patrimonio si disperderà, senza possibilità di recupero. Ora: non sono mai stato un passatista o un nostalgico, è normale che le cose cambino, la vita va avanti eccetera. E non mi spingo a dire che bisognerebbe tutelare i negozi di dischi come si fa con i monumenti: sono esercizi commerciali e in quanto tali sono soggetti alle leggi del mercato, che fanno schifo ma sono le uniche che abbiamo, pare.

Però la storia che arriva da Oran suggerisce che esistano anche possibilità alternative, di tutela e di speranza. Non sono semplici da trovare e ogni contesto necessita di una soluzione propria. Ma se riuscissimo (parlo di noi testate in primis) a occuparci delle situazioni pericolanti prima che sia troppo tardi e non soltanto dopo che hanno chiuso i battenti, forse qui e là qualche risultato si potrebbe ottenere, e qualche saracinesca in più rimarrebbe alzata. Se avete voglia di segnalarci qualche negozio “a rischio” o qualche situazione che merita maggiore attenzione, saremo felici di occuparcene.