Le scarse notizie che riguardano i Noam Bleen parlano di un trio (Antonio, Gianluca, Jacopo i tre membri della band) che si presenta all’esordio forte di sette tracce che vanno a costituire l’ep omonimo (ma a 7 tracce siamo ancora all’ep? Chissà!) Il sound della band è chiaramente innamorato del grunge e del post grunge, anche se alcuni pezzi si permettono digressioni strumentali allungate che nella Seattle anni Novanta non sarebbero state permesse.
Noam Bleen traccia per traccia
La partenza del disco è robusta, visti i ritmi alti e le consistenti trame di Underplay, piuttosto ispirata al sound grunge. Le impressioni sulle sonorità sono confermate da Placebo Button, chiaramente influenzata da band come Alice in Chains, Soundgarden eccetera, ma anche dotata di buona energia e di code strumentali piuttosto fluide.
Umore medio per Vent your Spleen, robusta nel drumming e minacciosa nell’incedere, con qualche esplosione qui e là a illuminare il percorso. La chitarra rivela anche passioni per il metal tradizionale (marca Van Halen?) ma il brano non perde né in struttura né in integrità complessiva.
Solivagant è un morbido e anche sorprendente intermezzo strumentale, leggermente isterico sul finale, che introduce a Specious Present, che colpisce a ondate ma non si lascia prendere dalla frenesia, anzi ha una serenità quasi indie nel cantato.
Le attitudini meditative della band, con qualche schizzo ogni tanto, sono confermate in pieno da Star’s End. Chiusura in acustico per At Dawn, chiusura strumentale e piuttosto serena.
Debutto sostanzioso, per i Noam Bleen, che ricercano un suono e uno stile “propri”, magari con qualche caratteristica non sempre originale, ma con una buona personalità e con ottimi spunti per sviluppi futuri.