Con alle spalle tre dischi e aperture di prestigio per gente come Placebo, Chemical Brothers, Soulfly, Lacuna Coil e molti altri, la metal band Niamh arriva al quarto album, People of the Underworld, uscito per l’etichetta tedesca Lucky Bob Records.
La band definisce il lavoro così: “non è semplicemente un album, ma un viaggio nel sé più profondo. Più che goth, con un retrogusto di rabbia e vendetta. Un modo per affrontare insieme la tristezza e l’euforia”.
Niamh traccia per traccia
Sorretti da una furia difficilmente contenibile, i Niamh aprono il disco con The Unloved, un canto, anche corale, basato su potentissime raffiche di drumming, che però riesce a coniugare energia e melodia.
Un canto che sa di Oriente e di deserto apre Sons of God, che poi torna a Occidente facendo cadere pesantemente il martello del ritmo. Questi figli di Dio appaiono leggermente incazzati, in un brano velocissimo e feroce, ma capace anche di rallentare e di offrire consistenti variazioni del tracciato.
Panorami sonori più tranquilli ma non meno oscuri quelli che tracciano la rotta in Shining Like Sirius, che sa di ballad con riflessi metallici e qualche urlo qui e là.
Non che si siano rammolliti: con I, The Underdog si torna a picchiare fortissimo e senza compromessi. Cori di ultras del Milwall a chiudere un pezzo estremamente battagliero e con spirito di rivalsa in evidenza.
C’è una tentazione melodica che si fa strada qui e là nell’album: in A Time for Farewell, che è per lo più voce, pianoforte e molto struggimento, emerge in toto, accompagnato curiosamente da un discorso di Ali Agca. Ritornano le chitarre con Antibiotic, che ha un recitato/rap in italiano firmato da Harakiri a rafforzare l’impatto di un brano particolarmente potente.
Fiammeggia parecchio The WoW effect – part 2, intensa e allargata dai cori, con tantissime vibrazioni che si espandono durante il percorso. Killjoy è un intermezzo sostanzialmente strumentale morbido di un paio di minuti. A chiudere una cover storica: i Metallica epoca Kill ‘em all sono riletti nel classico Seek and Destroy, che qui ha colori più sintetici e un impatto diversificato.
Piace l’energia e piacciono anche le attitudini melodiche, nonché la capacità di destreggiarsi fra un estremo e l’altro, da parte dei Niamh. Il disco scorre fluido e senza cali di tensione, a dispetto delle variazioni del panorama sonoro, che ovviamente appagheranno soprattutto gli appassionati del genere, ma che rendono People of the Underworld fruibile da tutti.