Orquesta del Desierto, “Dos”: la ristampa
Ogni tanto, si sa, TRAKS si occupa di qualche ristampa significativa. Oggi tocca a Dos, secondo ma anche ultimo disco degli Orquesta del Desierto, datato 2004 e oggi ristampato da Spin on Black. Nuova veste grafica affidata a Luca “Solo Macello” Martinotti. La trasposizione in vinile, remixato e remasterizzato da Harper Hugg al Thunder Underground Studio, Palm Springs, è disponibile in 500 copie numerate, 180 gr. gatefold.
Così racconta il comunicato stampa:
Gli Orquesta del Desierto si riuniscono al Rancho de la Luna per la registrazione del loro secondo e ultimo album. Per l’occasione la line-up subisce significative variazioni. Con Pete Stahl, Dandy Brown, Mario Lalli, Mark Engel e Mike Riley saldamente al comando metà sezione ritmica (Alfredo Hernandez alla batteria e il percussionista Sean Landetta Carrillo) salta assieme ai fiati nella figura di San Jacinto. Le new entry rispondo ai nomi di Adam Maples, Pete Davidson e Tim Jones al piano. Al resto del combo si uniscono Emiliano Hernandez al sax baritono e Bill Barrett alla tromba. L’uscita di Dos (2004) vede gli Orquesta del Desierto impegnati nel loro primo lungo tour con una serie di show nel sud est degli U.S. e varie date in Francia, Belgio, Spagna, Olanda, Svizzera e Germania. Il successo ottenuto lascia ben sperare in un terzo album che, però, non vedrà mai la luce a causa del successivo scioglimento del 2006.
Orquesta del Desierto traccia per traccia
Si parte, ed è già festa: Life without Color è un tripudio tra rock e Mexico, arrembante e colorata, a dispetto del titolo, non a caso piuttosto talkingheadsiano. Più moderata Summer (evidentemente si viaggia per contrasto con i concetti della titolazione), che si modula su tratti rock veloci ma malinconici, e piuttosto tempestosi nel finale.
Rope si inserisce su struttura da songwriting di frontiera, con riferimenti forti a varie stagioni e vari livelli di rock iniettato di folk. Someday apre con evidenti intenzioni epiche, tipo duello fuori dal saloon. Quick to Disperse sfuma intenzioni maggiormente psichedeliche, sempre con echi di frontiera a bussare alla porta.
Passo spedito quello di What in the World, in cui l’atmosfera è quella della big band e l’umore è sereno. El Diablo un Patrono, al contrario, fin dalle prime battute fa capire di non condividere la serenità del pezzo precedente, e viaggia a spron battuto (è il caso di dirlo) su piste polverose e pietrose. Questo pezzo più di altri lascia vedere il legame con band contemporanee o successive, tipo i QOTSA.
Over Here affida alla chitarra il compito di riportare la calma, con uno strumentale pacifico che lascia poi spazio agli scintillii di Sleeping the Dream, due passi in ambito psych con qualche pizzico di Radiohead dell’epoca. Molto più diretta Above the Big Wide, che si cala per discese vertiginose facendosi accompagnare da un drumming molto vivo e da chitarre in cerca di sfumature interessanti.
A chiudere Reaching Out, conclusione tutt’altro che pacificata, con ritmi che di nuovo fanno tornare alla mente Thom Yorke e compagni. Ma anche una notevole passione per il suono di chitarra e qualche propensione psichedelica, tutto contenuto in una canzone veloce da poco più di tre minuti.
Un po’ di rimpianto rimane per quello che sarebbe potuto essere e non è stato: la carriera degli Orquesta del Desierto raggiunge l’apice con questo disco e si dissolve, come un miraggio nel Gran Canyon.