Pagano: la mia filosofia di stare al mondo

Il cantautore Mario Pagano ha raccolto sei brani e ha pubblicato un ep d’esordio che colpisce per profondità ma anche per l’ironia con cui affronta il quotidiano: Una vita troppo onesta, appena uscito, si bagna nelle acque del cantautorato europeo (italiano e francese soprattutto) ed esporta il tutto anche grazie alla condizione di espatriato in Belgio.

Questo ep parla di introspezione e conoscenza. Parla di accettazione di sé, di scoperta dei propri limiti, delle proprie paure, delle proprie imperfezioni ma anche dei propri punti di forza. È un ep che mette insieme sei brani inediti che raccontano sei anni di vita, passati soprattutto a Firenze e che hanno avuto un impatto fondamentale sulla mia persona

Ciao Mario, raccontaci come sei arrivato al tuo ep d’esordio, Una vita troppo onesta.

Ci sono arrivato molto lentamente a dire il vero. Dopo aver pubblicato tre singoli (i primi due nel 2020 in piena pandemia e il terzo nel 2022) ho pensato che i tempi fossero maturi per proporre un’opera un po’ più corposa. Ho scritto molto negli ultimi anni e mi dispiaceva vedere che la maggior parte dei miei brani non avessero ancora visto la luce, così ho deciso di pubblicarne sei in un colpo solo.

Qual è la tua traccia preferita dell’ep e perché?

Credo sia Un mondo casuale, per vari motivi. In primis, perché racconta un po’ la mia filosofia di stare al mondo, cercando di non preoccuparmi troppo delle cose che sfuggono al mio controllo. Poi perché racconta anche di come certi incontri casuali possano cambiarti la vita (sempre se hai voglia che la tua vita cambi). E infine perché musicalmente è un brano dove ho cercato di inserire sonorità che mi piacciono tantissimo e che ricordano un po’ la musica popolare francese e un po’ le bande di paese.

Nel disco c’è un retrogusto di locali fumosi, di appartamenti molto “vissuti”, di autunno. Ma in realtà dove hai concepito queste canzoni?

In realtà non fumo quindi non c’è molto fumo in casa mia per fortuna. Scherzi a parte, queste canzoni sono state scritte tutte nell’arco degli ultimi sei anni a Firenze, in almeno quattro case diverse che ho cambiato durante il mio dottorato in Toscana. Però l’idea è un po’ quella, sì: di scrivere canzoni per spazi principalmente piccoli e chiusi, come dei bar o dei jazz club. Perché anche l’esperienza live cambia poi moltissimo in base a come viene pensata la musica a monte e a me piace suonare in quei contesti lì. Mi piace fare una musica intima da suonare in posti intimi.

Si avvertono molte influenze del cantautorato alternativo italiano ed europeo. Se dovessi indicare un “Maestro” assoluto, chi sceglieresti?

Se dovessi indicarne uno, probabilmente direi Paolo Conte, a cui devo moltissimo. Poi anche io come lui sono un giurista-musicista, quindi lo considero un grande esempio e un maestro di vita oltre che un artista fenomenale. Detto ciò, musicalmente ovviamente mi piace anche molto altro e ho sperimentato molto altro e spero che questo si senta nella musica che faccio.

Qual è stata la tua esperienza più formativa come musicista?

Sicuramente gli anni passati da bambino a studiare pianoforte sono stati molto utili da un punto di vista tecnico ma credo di aver imparato tanto ascoltando le esperienze di vita di musicisti più affermati, sia leggendo le loro interviste sia facendo loro domande di persona. Perché mi sono reso conto che non c’è un solo percorso per fare musica, ce ne sono tanti quanti sono i musicisti su questo pianeta e ci sono tante musiche possibili quante persone su questo pianeta. L’importante è che la propria musica sia appunto “propria” e cioè vera espressione di sé e coerente con il proprio percorso e la propria identità. Questo l’ho capito ascoltando gli altri.

In che modo la tua esperienza da expat influenza la tua musica?

Pensavo meno e invece mi influenza moltissimo. Da un lato questa condizione mi costringe a una costante nostalgia verso la mia terra natia (verso l’Italia e la Puglia in particolare) ma anche verso uno stile di vita diverso, più lento, più familistico, più comunitario, più a contatto con la natura e la terra, che cozza invece con la mia quotidianità a Bruxelles, che invece è molto incentrata su me stesso. Dall’altro lato però il mio essere expat mi facilita, perché qui in Belgio sono a contatto sia con lingue, forme d’arte e musiche di tutto il mondo (e quindi posso contaminarmi più facilmente), sia con la routine del lavoratore d’ufficio, che è sempre una ricca fonte di ispirazione per narrare le fatiche del quotidiano!

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