Oggi ci addentriamo per sentieri di parole oscure. Ecco un percorso di dieci brani, muovendoci tra i versi di chi riesce a essere dark, a parole, di chi canta di sentimenti strazianti ed emozioni buie. Insomma, ecco una playlist di dieci cantautori italiani dall’animo nero per ascoltatori in crisi esistenziale, per romantici rancorosi e per gli agnostici emotivi. Dallo storytelling di Vasco Brondi, ai contorsionismi narrativi di Giovanni Lindo Ferretti, passando per i giovanissimi Pentothal e per i nuovi sproloqui dei Massimo Volume. Buon lunedì di tristezza a tutti.
Dino Fumaretto
Strano personaggio relegato ai margini dell’indie, una postura alla Dente e un certo fare ironico che lo facevano assomigliare a un giovane e più affascinante Woody Allen, carico di cinismo e paradossi. Dino Fumaretto si muove in un territorio già spianato dai retaggi degli anni Ottanta, dall’influenza (quella stilistica, non quella batterica) di Nick Cave e la preziosa produzione di IOSONOUNCANE. Un dandy moderno, un cantautore in un mondo di immortale post punk. Contorto, confusionario e inguaribile romantico. Il suo nuovo album “Coma“, in uscita il 1° marzo.
Giovanni Lindo Ferretti
Non ha bisogno di presentazioni, ormai immortale (perché autore di parole immortali) paroliere di quelli che furono CCCP e derivati, Giovanni Lindo Ferretti sapeva ben descrivere la tristezza e la follia umana, e quest’eterno avvolgimento di emozioni rock. Prendo a esempio uno dei brani più umani che siano mai stati scritti, cioè la sua Amandoti. Un uomo solo, un mostro, viscido e strisciante, che elemosina di nuovo l’unica cosa che abbia mai avuto, un amore piccolo, inaspettato e puro, che un essere come lui non ha mai sentito di meritare. Molte altre sono state le versioni di Amandoti, ma nessuna sarà vera come questa. Eterno inno di tutti gli emarginati.
Diserto
Nuovo mistero della scena milanese. Più che un Liberato un ragazzino chiuso dentro la sua cameretta che gioca a fare il profondo, con il risultato di riuscirci davvero. Tra il cantautorato rap e le declamazioni à la Massimo Volume (poi ci arriviamo), qualche giro elettronico birichino e dei versi che sembrano appartenere a un’altra epoca. Solo due singoli e questo secondo Guerra prende respiro con un’efficace metafora e invito a non essere la puntina che legge il disco ma la mano che lo sceglie ogni giorno. E come dargli torto. Tenete d’occhio questo ragazzino che, con un po’ di coraggio, può davvero diventare qualcuno ma, anche non diventasse nessuno di significativo e fosse anche solo un’eccezione musicale, vale un ascolto.
https://www.youtube.com/watch?v=osb9SxlUXWg
Pentothal
E a proposito di giri elettronici birichini e cantautorato rap, ecco che ci addentriamo nel magico mondo dei Pentothal. Duo elettronico palermitano che gioca con malinconia, le parole, la cassa dritto, e con il cinismo di una generazione cresciuta a schiaffi di pessimismo. Far ballare su un dance floor triste e deserto sembra essere la loro specialità. In Villa Borghese, tratto dal loro debut ep, si dice che “Ieri con te, mi è bastato bere“, una ballata subacquea di sentimenti confusi, perdoni infranti, luoghi che non hanno significato, se non la tua compagnia, un tappeto ipnotico di synth e odio represso. Un progetto valido di piccoli genietti del computer che hanno decisamente qualcosa da dire.
Le Luci Della Centrale Elettrica
Disadattato per eccellenza, abile descrittore di disagi suburbani, amori di provincia, mancanze estreme, contorto e amante degli elenchi, Vasco Brondi è di fatto pioniere e capostipite di tutta una generazione confusa di cantautori tristi, ma lui, originale e determinato, rimane irraggiungibile, persino nel suo ultimo album Terra, dove s’è spogliato del troppo, dei costrutti e della moltitudine di parole che prima la caratterizzavano, e persino in una nuova veste minimalista e pop non riesce a togliersi questa malinconia angosciante e romantica. In particolare la sua A Forma Di Fulmine è tutto un elenco di possibilità e paradossi, un elenco infinito di cose che avremmo potuto fare insieme, e che invece non abbiamo fatto, pur raggiungere questo tuo cuore irraggiungibile, in questo mondo devastato e post-apocalittico.
Geller
Solo tre singoli all’attivo (il prossimo in arrivo il 26 febbraio) per il duo di Centocelle, una dose inesauribile di sentimenti non corrisposti, di ex senza cuore e vino versato a terra. Synth e autotune, formula ben collaudata che sembra funzionare sempre. E anche Ci Pensi Mai dei Geller, come A Forma Di Fulmine di prima, è un elenco, non di possibilità ma di mancanze che non si sentono mai, finché non torna la sera, e manca tutto. Questo brano è come la sensazione che si prova quando ci si ritrova ad abbracciare il cuscino che usavi tu, e ritrovarci il tuo odore. Che è impossibile, che sono passati mesi, ma eppure è così.
Pieralberto Valli
Non sempre, ma ascoltandolo a volte si ha la sensazione di avere di fronte una sorta di Thom Yorke italiano (e se questa cosa sembra non avere senso, allora probabilmente è perché c’ho preso). Già dal suo primo album Atlas s’era distinto come uno dei cantautori più interessanti della scena italiana: un utilizzo alternativo dei synth, che non sfocia nell’it-pop e quella capacità incredibile di costruire un immaginario preciso, qualcosa di sporco, primitivo, come un rito bacchico. Il suo ultimo Profumo si può riassumere in “disperdimi tra le tue gambe” – una supplica spietata e sincera, come un po’ tutta la produzione di Valli.
Umberto Maria Giardini
Ex Moltheni, una voce che potrebbe struggere chiunque. Chitarre per chi ancora rimpiange i vecchi Marlene Kuntz, per tutti i rockettari un po’ tristi che in fondo non vedono l’ora di sussurrare a un concerto “cedo e mi arrendo al tuo corpo“, per tutti quelli che dicono che Umberto Maria Giardini varrebbe molto di più dei piccoli palchi sui quali si ritrova, ma che poi comprendono che soltanto così possono commuoversi davvero, in prima fila al Tambourine di Seregno con quei brani, così contorti, selvaggi, eppure così diretti, che parlano di me.
Massimo Volume
Declamazioni, quel qualcosa a metà tra musica e teatro, che se alzi abbastanza il volume ti rendi conto come la voce di Emidio Clementi possa essere un’ipnosi. Positività, sempre davvero poca. Brividi post-rock e malinconia letteraria imperdibile per tutti gli pseudo intellettuali e per chi non ha mai voglia di impararsi i testi dei brani a memoria. Dell’ultimo album Il Nuotatore, colpisce soprattutto Fred, ritratto di un salutista criticato da un interlocutore saccente. Un dialogo interiore tra la nostra migliore e peggiore versione di noi stessi, disturbante, a tratti descrizione spaventosa per quanto veritiera.
Maria Antonietta
Anche se sembra essersi data una calmata, e non si può neanche definirsi propriamente dai toni dark, vale comunque la pena citare Maria Antonietta in questa assurda assurda lista di disadattati. Regina delle crisi adolescenziali, degli amori da liceo, paladina di tutte le ragazze borderline con il cuore infranto, Maria Antonietta ha il merito di aver scritto un album che è a tutti gli effetti un manifesto generazionale per tutti coloro che hanno vissuto quell’epoca meravigliosa senza la doppia spunta blu, quando i drammi erano drammi veri. Quanto Eri Bello è la storia di un primo amore, ineguagliabile ed eterno paragone di tutti gli uomini a venire, lui che parlava e toccava meglio di chiunque altro, e che sentiva ciò che nessun altro sapeva sentire.
Smoking Area