Pepp1: punto all’amore come obiettivo massimo

Già anticipato dal singolo Se io fossi Magalli feat. Papa Black Face, Pepp1 torna con un nuovo disco dal titolo Giardini Pubici, disponibile su tutte le piattaforme digitali per Hukapan Records da venerdì 10 maggio 2024. 

Un’opera umida come un praticello estivo dopo l’irrigazione a schizzi regolari, un concentrato brevissimo – ma tutt’altro che precoce – di argomenti bollenti come il consenso, l’Abissinia del ’35 e Giancarlo Magalli. In “Giardini Pubici” convivono con rispetto reciproco le sonorità britpop, elementi essenziali per raccontare quanto di più turpe è depositato nello scarico intasato di un’anima perversa.

Lo abbiamo intervistato. 

Qual è oggi il tuo rapporto con il politically correct? E perché credi che ci ritroviamo spesso a essere il più limpidi possibili nei propri prodotti artistici? Ti senti mai frustrato per questa cosa?

Lo ritengo un falso mito. Chi sostiene che non si possa più dire niente è generalmente un over 50 fermo a Windows 98. Tuttavia è innegabile che le shitstorm moraliste siano praticamente all’ordine del giorno, così come le ventate di inutile buonismo offerte da film, performance teatrali e canzoni. Gran parte delle offerte artistiche si sta uniformando a questa visione noiosa e raggelante, ma esistono delle eccezioni.

Di base ritengo che si sia persa una certa verve dissacrante e (talvolta) al limite del buon gusto, almeno nel mainstream. Alcuni artisti scelgono di essere limpidi e puliti come un giovane deretano soltanto perché bramano l’affetto di tutti. Talvolta è preferibile ricevere degli sputi sul corpo a causa della propria onestà. Non provo frustrazione per queste dinamiche, ma mi piace l’idea di ridicolizzarle.

C’è qualcuno che ha preso male qualche tuo brano? Com’è finita? E c’è anche questo tra i tuoi obiettivi quando fai musica?

Che io sappia no, però bramo un incontro di pugilato da risolvere in abbraccio stretto stretto e consensuale. Punto all’amore come obiettivo massimo.

Come sei entrato in contatto con Elio e Le Storie Tese? E cosa pensi che sia piaciuto di più del tuo progetto musicale? E in particolare del tuo disco?

Ho iniziato ad ascoltarli all’età di 10 anni. Hanno plasmato del tutto il mio modo di vedere l’arte e la vita. Dal 2008 li avrò visti live almeno una ventina di volte in giro per l’Italia. Non so con certezza cosa abbiano apprezzato del mio progetto, ma posso immaginare che ne abbiano percepito la cura per il dettaglio più scemo e la volontà di cantare storie non proprio ordinarie.

Avere un’etichetta è fondamentale per fare musica oggi?

Non penso che sia strettamente necessario, ma è innegabile che aiuti. Può fare la differenza nel caso delle banane (a tal proposito, le Dole vincono su tutte). 

Milano ti ha cambiato o influenzato dal punto di vista musicale?

Studiare jazz al Conservatorio di Milano e frequentare il mondo della musica live lombarda mi ha dato la possibilità di ascoltare tanta musica diversa. Tuttavia credo che di base le mie influenze maggiori siano rimaste le stesse dai tempi del liceo: britpop duro e puro, classic rock 60’s, progressive britannico e italiano, canzoniere di Pippo Franco e disco rosso del Festivalbar 2004. 

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