Primo Appuntamento è l’album di debutto di Peter White, nuovo giovanissimo fenomeno dell’indie-rap romano. Il nome del disco, prodotto da Niagara, trae forza e significato dal concetto che sia necessario prendere realmente con questo album un “primo appuntamento” serio con il pubblico.
Dopo i successi ottenuti con i primi singoli, Narghilè, Lollipop e Birre Chiare, che hanno superato rispettivamente i 2,8 milioni e il milione di ascolti su Spotify, Primo appuntamento segna l’inizio effettivo di un percorso che l’artista ed i suoi collaboratori preparano da tempo.
La grande passione dell’artista è il cantautorato, genere ormai sempre più distante dalle nuove generazioni. Nelle sue esperienze musicali tenta di riecheggiare questo mondo mischiandolo con il pop e il rap. I testi raccontano esperienze e vissuti dove tutti possono provare sensazioni personali: dalle descrizioni di un amore particolare a episodi comuni della quotidianità.
Peter White non è solo un cantautore, infatti ogni brano dell’album è accompagnato da illustrazioni disegnate da lui che interpretano il mood delle canzoni da un punto di vista grafico
Peter White traccia per traccia
Non è Peppino di Capri (e neanche i Pink Floyd): Saint Tropez però è utilizzata come metafora di luogo di felicità, ma è un’utopia legata a un rapporto finito, celebrato da un pezzo malinconico.
Non che l’atmosfera si faccia allegra poi: anche Acquario (con Clied) si tuffa faccia avanti nella tristezza, benché poi si animi un po’, soprattutto a livello di beat.
In finestra segue percorsi descrittivi, con una chitarra piuttosto languida a fare da contrappunto al drumming rumoroso.
“Pomeriggi grigi dove ho sempre mal di testa” descrive l’atmosfera di Baci alla française, cantata in modo un po’ decadente, ma suonata con una certa energia.
Parecchie cose che passeranno in Gondola, brano che non porta con sé dose esagerate di ottimismo.
Si prosegue con la cupa Ombre, fumosa (sono le Camel, naturalmente) con il cantato/rappato piuttosto fitto.
Ecco Appuntamento, che inizia con qualche accordo di chitarra con eco, ma le casse poi si riempiono. Finale sorprendentemente chitarristico.
Torino apre molto lenta e soffusa, e così rimane, con la malinconia che sembra aver ripreso possesso del disco.
A chiudere ecco Titoli di coda, che della precedente condivide l’umore ma ha qualche tocco cinematografico in più.
Volendo si potrebbero cercare una a una le influenze indie di Peter White (Carl Brave, Franco126, Gazzelle, Dutch…) ma l’utilità del giochino è relativa e dimostra soltanto che fa parte di una scena ormai consolidata.
L’esordio in ogni caso porta con sé una certa personalità e buone sensazioni complessive, pur senza stravolgere l’ascoltatore per l’originalità.