Si chiama Fuori dall’Hype (e li abbiamo recensiti qui) il nuovo disco dei Pinguini Tattici Nucleari, che celebra anche il loro nuovo sodalizio con Sony Music. Li abbiamo incontrati proprio negli studi RCA di Milano in occasione della presentazione dell’album e siccome noi di TRAKS siamo piuttosto fighi abbiamo rivolto qualche domanda “esclusiva” alla band e in particolare al frontman Riccardo Zanotti.
Come si esce dall’Hype entrando in una major?

Mah qui in Sony abbiamo trovato soprattutto persone che sono riuscite a migliorare il nostro lavoro. Tante persone che ci hanno accompagnato nel corso dei mesi migliorando certe nostre caratteristiche.
Se si parla di numeri o di live già stavamo facendo un nostro percorso. Entrare in una major ci ha fatto soltanto conoscere persone molto brave a fare il loro lavoro. Questo secondo me è un plus, e non per forza ti fa entrare nell’hype.
L’hype come lo intendiamo noi è l’aspettativa più che altro immotivata. Quindi più un male che un bene, più un’arma che altro. Un Leviatano gigantesco che ogni giorno, di fatto, dirige il suo sguardo verso altre persone. E’ una cosa effimera e rischia di distruggere la carriera di un artista.
E’ una cosa che abbiamo esperito sulla pelle di altri. La nostra idea di “Fuori dall’Hype” è quella di costruire un percorso lento ma duraturo nel tempo. Di essere ancora qui fra un po’ di anni e non essere morti. A meno che non moriamo fisicamente… Nel caso amen.
Nel disco c’è meno cazzeggio rispetto ai precedenti e sia centrato sulle canzoni-canzoni. Da cosa nasce questa scelta?
Nasce dal fatto che forse abbiamo trovato un equilibrio. Tutto questo disco secondo me gira intorno all’idea di equilibrio, musicale e testuale. Si ha soltanto una prima opportunità di dare una prima impressione. Allora cerchi un equilibrio fra l’essere scanzonati, anche insensati a prima vista, anche se non è così, e cercare invece di comunicare qualcosa anche dopo un ascolto.
Che, di fatto, il pop è proprio questo: cercare di lasciare qualcosa dopo un solo ascolto. Ed è una cosa molto difficile. Detto da uno che ha inziato scrivendo prog, perché pensavo che la cosa più complessa fosse anche la più bella. Invece lasciare qualcosa dopo un solo ascolto è la cosa più incredibile. Pochi ci sono riusciti nella storia e sono ancora immortali, da De André a Dylan.

Parlando anche di prog, nei precedenti dischi c’erano riferimenti…
Ma anche in questo qualcosa c’è, meno però. Non è detto che con il prossimo poi non torneremo. Ma è una scelta che abbiamo fatto perché i nostri ascolti poi vertevano in questa direzione. Avendo sempre fatto quello, avendo sempre ascoltato Elio e le Storie Tese eccetera, abbiamo anche fatto un ragionamento: noi vogliamo essere qualcosa di riconducibile a loro oppure vogliamo essere qualcosa di diverso?
Il discorso del “cazzeggio” lo facevo anche riferendomi a una cosa che mi ha detto qualche giorno fa una band che secondo me ha qualcosa in comune con voi, cioè gli Eugenio in Via di Gioia. Loro hanno fatto un percorso simile e hanno detto che ora nei dischi inseriscono meno parti “teatrali” anche perché comunque non hanno più bisogno di attirare l’attenzione in locali pieni di ascoltatori distratti…
Siamo amicissimi con gli Eugenio. Mi piacciono un casino queste risposte perché sono sincere. Ed è vero: vale un po’ anche per noi, ti dico la verità. Noi in realtà cazzeggiamo anche in questo disco perché non è il massimo che tutto sia costruito, in un’ottica di strategia, marketing… E’ giusto che il marketing abbia il suo peso ma che non sia troppo.
Noi siamo ancora gente che va ai banchetti dopo il concerto a parlare con i fan, fino alle 3 di notte. Non prendiamoci troppo sul serio. Le più grandi rivoluzioni dell’umanità sono nate da gente che non si è presa troppo sul serio all’inizio. E ha continuato a non farlo a livelli diversi.

Gli Eugenio condividono con noi l’idea di scappare un po’ dal minimalismo musicale e di testi che adesso un po’ pervade tutto l’ambiente indipendente. Loro hanno un’altra idea e noi un’altra ancora. Musicalmente siamo molto distanti ma concettualmente molto vicini.
Il disco parte con Fuori dall’Hype e con il pianoforte di Antartide, quindi in maniera molto melodica. Anche questa è stata una scelta precisa? Io sono rimasto un po’ sorpreso…
Anche i nostri fan sono rimasti sorpresi. E’ una cosa che a tanti è piaciuta e a qualcuno no, ed è anche bello. Perché significa che la gente ancora ti ascolta. Non prendiamoci in giro: ci sono artisti, magari su con l’età, ed è anche giusto così se vogliamo, che se fanno canzoni non troppo perfette (Riccardo aveva detto “ruttano al microfono”, ma questo non ditelo a nessuno, Ndr), vengono osannati come se avessero fatto l’ennesimo capolavoro.
Il bello di essere giovani è che ancora qualcuno può venire a sputarti in faccia, ed è una cosa che ti fa sentire vivo. Doverti pulire lo sputo dagli occhi è una cosa che ti dice sei vivo più di qualsiasi abbraccio e di qualsiasi bacio.

Quindi è una cosa bella che a qualcuno non sia piaciuta Verdura o altri pezzi dell’album. Così come potevano non piacere pezzi dei dischi vecchi. Ma adesso il bacino d’utenza si è allargato e ci sono più ammiratori e anche più “offenditori”.
Poi tra l’altro si cresce con i “fa schifo” e non con i “sei bravo”. Ci torna utile.
C’era qualcuno che cantava una cosa tipo: “Ci vorrebbero più persone ai concerti di Vasco Brondi che…” e lasciamo in sospeso perché siamo pur sempre in territorio Sony…
Ma a me il Vasco (Rossi) degli inizi ha cambiato completamente la vita. E’ anche l’unico ascolto che ho in comune con mio padre. E’ stato una grande rivoluzione per l’Italia e una delle persone che stimo di più. Detto questo poi gli ascolti si evolvono e anche le carriere, e magari non lo ascolto più come prima.
Il mio discorso in quella canzone, che è In vento, era più generazionale, e tanti non l’hanno capito e hanno pensato che fosse un discorso musicale. Ma io nasco da lì, che cosa posso dire a Vasco…
E infatti nella canzone “e magari qualcuno di meno al concerto di Vasco Rossi” lo dici sottovoce e vergognandoti un po’…
(Ride) Questa è bella… Però è un discorso più generazionale. Adesso le cose stanno un po’ cambiando. Un tempo non si dava mai attenzione ai fenomeni come Vasco Brondi che è stato anche quello delineante di una nuova corrente, ma fino a due o tre anni fa neanche lo si riconosceva nei media tradizionali.
Invece il Vasco Rossi di turno che va avanti con una carriera definita da trent’anni…
…anche se rutta nel microfono va bene lo stesso. Questo l’ho detto io e non l’hai detto tu…

Ecco… Invece i fenomeni diversi, per quanto possano fare anche schifo, non hanno mai il palcoscenico che si meriterebbero.
Adesso però: Vasco Brondi è (quasi) mainstream, Sanremo ha visto un tot di personaggi che arrivano dall’indie, voi passate in Sony e altri gruppi arrivano alle major… Non vi spaventa tutto questo? Avete lavorato nell’ombra, voi come tanti altri. Ora che arrivate tutti insieme sui palchi importanti non avete un po’ di vertigini?
Prima di tutto parla la musica. Quando vado a letto la sera, vado a letto sereno. Non ho mai fatto qualcosa di cui mi sia pentito. O quantomeno se l’ho fatta, l’ho fatta perché lo volevo. Secondo me il problema si pone in generale sull’attenzione che viene data a questo fenomeno dell’ “indie”, se così lo vogliamo chiamare. Attenzione che è data oggi e potrebbe non essere data domani.
Il nostro percorso è fuori dall’hype: è un manifesto del voler intraprendere una strada un po’ diversa. Noi non stiamo facendo quello che fanno altri artisti, più minimalisti, con un genere più definito… Poi ci sono due artisti che hanno lanciato quel modo di fare musica, ora non faccio nomi, e tanti che hanno seguito a ruota.
Il modo di arrangiare è quello e non ci appartiene molto. Secondo me la gente lo riconosce. Noi non siamo “indie” per l’indie che va adesso. Noi siamo semplicemente persone che vengono da Bergamo e che hanno sempre fatto le cose per i cazzi loro.
Non avete neanche “the” nel nome, per dire… Neanche città indiane…
Be’ no Calcutta per esempio lo stimo molto, siamo amici, lui ha creato qualcosa. Ma anche I Cani, per esempio: loro sono così ed è molto figo. Poi il carrozzone che si è creato dietro, forse è anche bello che ci sia. Ma bisogna porsi una domanda: durerà questa cosa?
La paura che può avere un musicista indipendente è che questa cosa da un giorno all’altro finisca. Ma se hai lavorato e hai seminato, che ti venga fuori la fragola o il frutto di bosco, puoi sfamarti. Non sappiamo dove andrà la musica, ma sappiamo che siamo stati coerenti con il nostro percorso.
Quindi “I primi belli… poi venduto” è una cosa che hai scritto solo perché ci stava bene?
Quella è una presa in giro perché sapevamo che qualcuno l’avrebbe detto. Quindi conviene anticipare. In realtà l’ha detto anche molta meno gente di quello che ci aspettavamo, il che vuol dire che chi ti ascolta capisce da dove viene la band. Però paura la devi avere ogni giorno, se no questo mestiere non lo puoi fare bene.
Anche presentarsi in concerto visti tutti i sold out che state facendo ora immagino che un po’ di paura la metta, no?
E’ un’ansia incredibile, si passa la vita a vomitare. E a cercare di nascondere il vomito. E’ anche una bella vita. Molto più difficile di quello che sembra: ha i suoi momenti belli ma crea destabilizzazione. Tutti noi abbiamo avuto problemi. Chi con la propria psiche, chi con rapporti umani. Però rifarei tutto. Magari mangiando sempre prima della mezzanotte perché qualcosa nell’anima la puoi curare, ma nella pancia è più difficile.
Testo e foto di Fabio Alcini