Quma: intervista e recensione

I Quma sono un gruppo crossover rock di Torino che pubblicherà il proprio album De Vulgari Eloquentia a marzo 2018, ma che ha deciso di far ascoltare le proprie canzoni in anteprima a TRAKS, perché ci facessimo un’idea della loro musica (oltre che per un’intervista e una recensione).

Potete raccontare la vostra storia?

Il progetto Quma nasce nel 2015 dopo che Fabio (Batterista) e Alessandro (chitarrista), che suonavano insieme già dal 2012, conoscono Mane (attuale bassista).

La prima impronta della band, che da subito si mostra interessata a un repertorio di inediti, propende verso il punk e il grunge, ed è solo con le tastiere e la voce di Marco, agli inizi del 2016, che il progetto ottiene la possibilità di ampliare i propri orizzonti e arricchirsi di sonorità in grado di dare una solida base all’idea di crossover da noi ambita.

“De Vulgari Eloquentia” (oltre che un vostro album) è una fondamentale, benché incompiuta, opera di Dante che spiega in latino i vantaggi dell’uso della lingua volgare, cioè italiana. Mi spiegate che cosa c’entra con un album cantato in inglese?

Più che con la lingua, il nome dell’album ha a che fare con la direzione sonora che abbiamo intrapreso: così come Dante volle rivalutare il volgare affinché la sua arte arrivasse a chiunque, noi (senza ovviamente fare paragoni con il sommo poeta) vogliamo affrontare diversi generi musicali per unire le nostre influenze in un unico stile e far sì che orecchie differenti possano fruire della nostra passione, dato che noi stessi in primis abbiamo sensibilità musicali molto varie tra di loro.

Scrivete che il concept dell’album ruota intorno alla figura umana in tutti i suoi aspetti. Potete descrivere meglio i concetti base del disco?

Il concept del disco si basa su di un’affermazione dantesca che si trova proprio all’interno del De Vulgari Eloquentia: la natura umana è serva del peccato e, fin dal principio della sua esistenza, l’uomo ha perduto la felicità eterna a causa della propria volontaria corruzione.

Il nostro album è una narrazione musicale che comincia con la constatazione disincantata della condizione umana, la quale viene temprata dalla sofferenza e dall’ira, e che, attraverso il desiderio di ribellarsi, giunge a concepire la speranza del proprio riscatto.

Potete raccontare la strumentazione principale che avete utilizzato per suonare in questo disco?

Per registrare questo album abbiamo utilizzato principalmente gli stessi strumenti che impieghiamo in live, ovviamente con suoni più raffinati. Niente che non fosse suonato dal vivo, insomma, tutto analogico, con la dovuta dose di microfoni, una grande scheda audio e dopodiché un po’ di lavoro ai dovuti software.

Anche l’effettistica inserita è, per la quasi totalità, “fisica”; unica eccezione è la terza canzone, Friend or Foe, i cui suoni introduttivi sono in parte provenienti da nostre registrazioni, e in parte campionati oppure provenienti da fonti esterne. Oltre alla normale strumentazione (chitarre, bassi, batteria, tastiere, amplificatori e pedali), ci siamo serviti di strumenti non usuali per il nostro genere, come il megafono e il flauto traverso.

Potete descrivere i vostri concerti?

I nostri concerti includono una buona dose di teatralità, che è funzionale a spiegare visivamente il contenuto delle canzoni: le nostre composizioni sono pregne di significati e sul palco cerchiamo di agevolare gli spettatori/ascoltatori.

In particolare, ci trucchiamo e vestiamo per poter trasformare il concerto stesso in un concept e utilizziamo macchine del fumo ed effetti speciali. Cerchiamo anche di coinvolgere il pubblico senza snaturare la narrazione musicale e ci piace agitarci alquanto quando suoniamo dal vivo, è qualcosa che per noi è sempre stato molto naturale.

Chi è o chi sono gli artisti indipendenti italiani che stimate di più in questo momento e perché?

Questo ambiente è decisamente vasto e variegato: a parer nostro alcune eccellenze (nonché esempi dai quali attingere) sono per esempio Il Teatro degli Orrori, La Macabra Moka, i Verdena, Gli Eugenio in Via Di Gioia, i Pinguini Tattici Nucleari e i Ministri. Alcuni di questi possono considerarsi più che “artisti indipendenti”, ma rientrano agevolmente in questa sfera di musica giovane, non scontata e prolifera.

Ognuna di queste band possiede una cultura musicale non indifferente ed è dotata di una creatività che non caratterizzava la musica italiana da almeno vent’anni, e per questi motivi sono musicisti che stimiamo molto.

Quma traccia per traccia

Si parte da Accipite et Bibite, che ha una molto consistente introduzione di stampo ecclesiale che lascia poi spazio libero per un rock molto diretto e incollato alla tradizione, con libertà per la chitarra di svariare e di accennare qualche assolo.

Si passa poi a Judas, caratterizzata da un excursus in campo bellico, con marce e urla perentorie, condite da una musica vicina al metal. Si apre con il flauto Friend or Foe, come a confermare ascendenze di tipo progressive per la musica della band, ma l’evoluzione del brano lascia trasparire anche qualche ascendenza post grunge, soprattutto quanto a chitarra e cantato.

Ci si muove su terreni simili (per il post grunge, non per le influenze prog) con Oblivion, molto intensa e vibrante. Funky Machine è molto tempestosa e tirata, piuttosto vicina a estremizzazioni di stampo hardcore. Filthy Beauty, con tastiere e voci all’improvviso, torna a suggerire una certa teatralità.

Disco curioso, quello dei Quma, che sono in grado di raggiungere estremi molto lontani fra loro e di tenere insieme influenze eterogenee. Il risultato però è un disco molto convinto e con spunti interessanti.

Se ti piacciono i Quma assaggia: Redja

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