Recensione e streaming: Calibro 35, “S.P.A.C.E.”
Ed eccolo qui, alla fine, il viaggio spaziale dei Calibro 35: registrato al Toe Rag di Londra, lavorando su nastro analogico con solo 8 tracce a disposizione, ecco S.P.A.C.E.
Il disco è stato realizzato esattamente come si sarebbe fatto nel 1966: tutti i musicisti nella stessa stanza con i propri strumenti e amplificatori, senza cuffie, con il suono che si espande nell’aria e diventa elemento fondamentale delle registrazioni.
Addio quindi, per il momento, alle atmosfere noir che avevano caratterizzato i dischi precedenti, e benvenuta fantascienza, forse non soltanto quella dei B-Movies, ma con uno sguardo piuttosto maturo anche a idee più ambiziose.
Calibro 35 traccia per traccia
Si parte con 74 days after landing, breve introduzione guidata soprattutto da un battito continuo. Ben altra tempra quella di S.P.A.C.E., la title track, fitta di drumming e già ricca di sensazioni vintage, come da ottima tradizione della casa: un’esibizione di forza orchestrale che apre le porte di un disco non privo di sorprese.
Già nota Bandits on Mars, protagonista di un video piuttosto spassoso, con la linea di basso in particolare evidenza e contrasti marcati con la parte “galattica” curata dalle tastiere. Il rapido intermezzo di Brain Trap gioca con i rumori flirtando con certa sperimentale, in quota industrial o ambient.
Ungwana Bay Launch Complex al contrario si mette sulle piste del jazz, anche grazie alle evoluzioni della sezione fiati, supportata come si deve da una chitarra dai chiari istinti funky. Più vicina ad atmosfere Seventies An Asteroid Called Death, dominata da synth e tastiere di vario tipo, che si concede anche attimi di pura esplorazione spaziale, nel semivuoto.
Ritmi molto alti quelli di Thrust Force, che ci scaraventa in un inseguimento stellare (ma non troppo, in questo caso), contrassegnato ancora una volta da un drumming molto efficace. A Future We Never Lived apre il lato B del disco (disponibile ovviamente anche in vinile) con un passo molto tranquillo e con suggestioni leggermente rallentate.
Universe of 10 dimensions assume quasi le dimensioni di una mini-suite, con i suoi oltre 6 minuti, segnati dal basso di Luca Cavina che tiene insieme le fila del discorso. Across 111th sun si presenta piuttosto acidina, con gli istinti funk a riemergere, e a trasmutarsi piano piano in tendenze psichedeliche sempre più accentuate.
Misteriosa e suggestiva Something Happened on Planet Earth, che esplora lati oscuri con qualche nostalgia progressive (segnatamente nelle prossimità kingcrimsoniane). Si torna a idee più nostrane con Violent Venus, suonata molto a briglia sciolta.
Ventisei secondi molto dolci quelli di Neptune, che introduce al finale, contrassegnato da Serenade for a Satellite: di serenate, a dire il vero, se ne sono viste di più romantiche, mentre qui il brano si carica di inquietudine crescente, che lascia l’ascoltatore con il sospetto che ci siano possibilità di sequel, sempre in ambito spaziale.
Talento sconfinato a parte, fa piacere ogni tanto vedere i Calibro 35 avventurarsi in paesaggi differenti dal solito, e notare come possano essere efficaci allo stesso modo. Il disco sembra essere un po’ meno limitato alla strettissima cerchia degli aficionados, anche se è evidente che la band suona per il puro obiettivo di piacere prima di tutto a se stessa.