Recensione: Danio Manfredini, “Vivi per niente”
Cantautore, ma anche attore teatrale e regista, Danio Manfredini ha un rapporto saltuario con la musica, mentre il teatro lo vede di sicuro più presente e più premiato. Ma quando interviene in territorio musicale, lo fa in modo significativo.
Come succede con Vivi per Niente, nuovo album uscito quattro anni dopo Incisioni; ma mentre in quel caso la materia affrontata furono cover di canzoni italiane d’autore, qui le canzoni d’autore sono inedite, importanti e spesso disperate.
Danio Manfredini traccia per traccia
Si parte con Ciao, Buon Natale, cupa e prescelta come biglietto da visita dell’album: le sonorità analogiche avvolgono la voce di Manfredini, impegnata in un racconto di profonda malinconia. Più dolce la tristezza di Per passare un po’ di tempo, storia di solitudine con strumenti ad arco, ritmi molto morbidi e grande rimpianto a permeare le stanze della canzone.
Graffiti segue con oscurità diverse e più aspre, anche se ovattate, salvo qualche graffio improvviso: anche in questo caso nel testo emergono solitudine e disperazione, confinante con la follia. Registro vocale più alto per Intervista, che si arrampica con l’aiuto degli archi, con passo lento e felpato.
E’ invece il pianoforte il protagonista di Senza bisogno, che lascia spazio a La fossa (Parco Sempione), aperta dai bassi e molto cupa, con risonanze rock-blues. Il brano poi si apre, sfruttando le correnti ascensionali di una progressione.
Rimane costante invece Un po’ caldo un po’ freddo, in cui tornano gli archi. Aggressiva e rock Scavami dentro, che propone una voce leggermente filtrata. Umore plumbeo per Lettera, pensierosa e dal passo pesante (“qualcosa si è incastrato nel cervello”) all’inseguimento di rimpianti lontani (“e ho vissuto per bellezza/giorni crudi di purezza/aver qualcosa da dire/ma i poeti si suicidano”).
Decimo e ultimo episodio Cosa faccio io qui, in cui svariati strumenti già apparsi nel disco si danno appuntamento per un congedo più corale, ma non meno depresso (“siamo stracci di luce/forse vivi per niente”).
Ci siamo permessi di sottolineare la tristezza distillata nei brani di Danio Manfredini non soltanto perché è difficile nasconderla, ma perché appare come una delle cifre stilistiche principali del disco, quasi l’architrave principale di un disco cesellato con cura, appoggiato su molte malinconie ma anche su sensazioni forti e canzoni ricche e pregne di significato.