Recensione: Frank Get, “Rough Man”

frank getTredicesimo album per Frank Get, musicista triestino di grande produttività e con una grande passione per la musica americana, come conferma anche Rough Man.

Il disco, scritto, suonato e prodotto interamente dal musicista trova ispirazione in personaggi come Willy DeVille e Townes Van Zandt, entrambi omaggiati con una cover.

Frank Get traccia per traccia

Il disco si apre con Barbed Wire, che introduce immediatamente alle atmosfere musicali, influenzate da blues, folk e country, amate da Frank Get. Ritmi che si alternano e una chitarra piuttosto “cattiva” contrassegnano Destination Nowhere, mentre Buffalo Bill si sposta armi e bagagli in vista della Frontiera, con buone armonie di chitarra e una costruzione a salire.

Più movimentata Smash Down, che si affida a ritmi dichiaratamente rock. Si abbassano improvvisamente i ritmi con Shinin’ Sunset, torch song infusa di blues e soul. C’è l’armonica a bocca ad aprire Joseph’s Dream, springsteeniana nell’incedere.

Il primo degli omaggi ai “padri” arriva con Mixed up, shook up girl, di Willy Deville, che ha una lunga introduzione strumentale e che mette in evidenza qualche somiglianza vocale con il cantautore scomparso nel 2009. Conserva paesaggi vasti anche In a heartbeat, che concede uno spazio consistente alla chitarra elettrica.

Misty valley punta su un mix più ricco ma anche leggermente più sporco, senza dimenticare di inserire nell’impasto anche un po’ di polvere del deserto. Meno rumorosa e più raccolta intorno al falò Selfsame lament, in un’alternanza di acustico ed elettrico.

Si mantiene intima e contenuta Wanderlust, mentre si passa a movimenti più rapidi con Mine Disaster, che di nuovo fa riferimento all’universo di suoni di Deville, di Springsteen e di altri cantori di frontiera. Altro tributo è quello a Townes Van Zandt con la cover di Pancho and Lefty, evocativa e suggestiva.

Tears are fallin’ down punta sull’intensità e sulla chitarra, mentre Lost land blues riempie le casse di armonica a bocca e malinconia. Più allegra l’aria di Soul tattoo, senza esagerare, ma con il cling-clang di una probabile Rickenbacker ad alleggerire l’atmosfera.

Ultime cavalcate quelle di Chain reaction, con il pianoforte che emerge dal sottofondo di un brano piuttosto mosso, e The Last Waltz, che al contrario acquista tutti i sapori della ballad lenta e classica, colorata di blues.

Ancorché esperienze come quella di Frank Get possano risultare interessanti soprattutto per cerchie ristrette, al musicista triestino va riconosciuta coerenza, abilità e un’estrema conoscenza del proprio genere di appartenenza.

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