Recensione: Jarman, “The Sense of Self”
Jarman traccia per traccia
La traccia di partenza, Stratos, fa probabilmente riferimento a Demetrio Stratos, il cantante e polistrumentista scomparso troppo giovane ma protagonista della stagione degli Area: il suon della band è subito piuttosto denso, consistente, quasi difficile da filtrare e ricco di sensazioni differenti. Parte più rapida e diretta invece The Roaring Lion & the Bubbing Fish, bifronte come da titolo, che dopo un incipit rumoroso rallenta il battito e preferisce prendere giri più larghi, salvo poi riprendere la corsa poco più in là.
Più omogeneo il percorso di San Cristóbal, che pure qui e là si espone a esplosioni elettriche improvvise e molto intense. Echi profondi risuonano in The Sense of Self, la traccia che dà il titolo all’album, in cui sono protagonisti gli strumenti a corda ma anche un drumming molto scattante e spesso scivoloso. La coda finale sembra flirtare con qualche forma di jazz, pur rimanendo al di qua del confine.
Vaste componenti fluide accomunano Tunnelt e Wunderkammer, che curiosamente hanno anche la medesima durata, cioè 3 minuti e 10 secondi. Ritmo alto ma non infernale per i due brani che vedono la prevalenza del suono di chitarra e una struttura piuttosto chiara fin dalle prime battute. Invece pare giusto sottolineare il lavoro di batteria che si ritrova nei lunghi passaggi di Light in August, una sorta di suite quasi finale che vede alcuni passaggi di ritmo e di umore. Si chiude con la curiosa Ghosts, probabile risultato di numerosi scarti di registrazione.
Buona la prova degli Jarman, portatori di un post rock sano ed elettrico, molto vivo dall’inizio alla fine dell’album. Forse niente di particolarmente sperimentale, ma la band si rende protagonista di ottime accelerazioni ed è in grado di gestire perfettamente i numerosi cambi d’atmosfera del disco, ottenendo un’ottima collezione di brani.