Recensione: Mosé Santamaria, “Risorse umane”

copertinaMosè Santamaria esordisce con Risorse umane, prodotto da Martino Cuman (Non Voglio che Clara): tra elettricità ed elettronica, tra citazioni e giochi di parole, tra riferimenti al cantautorato “intellettuale” italiano e idee nettamente più pop, il disco gira bene sul piatto.

Mosè Santamaria traccia per traccia

Risorse umane si apre con Mine vaganti, pezzo piuttosto morbido che ha il compito di spalancare le finestre sulle qualità della narrazione di Santamaria. A Nizza (non era amore) elettrifica il discorso e lo rende movimentato, inserendo in modo cospicuo l’elettronica, che sarà tra i protagonisti del disco.

Partenza un po’ depressa per Come gli dei, che nel minimalismo di voce e sottofondo misto fa emergere piccoli elementi scintillanti, prima di prendere quota con l’ingresso del drumming e di disegnare panorami più articolati.

Ci si immerge nello spionaggio d’antan con Mata Hari, che parte citando il supplizio di Tantalo e Gabriele D’Annunzio (non in una delle imprese più illustri, peraltro): le frasi di Santamaria sono immerse in salsa elettronica che le ammorbidisce e le rende anche più ironiche.

L’altra parte della città fa largo uso di suoni spannati, curiosi e sghembi, per discutere di urbanistica, immigrazione e questioni di attualità varia. Notevole la seconda parte, particolarmente inacidita (del resto parla di Sampierdarena, non è che se ne possa parlare in modo sereno).

La già utilizzata I love you Marzano, pubblicata in video, conserva sentimenti tribali ma anche molta voglia di raccontare, non sempre in modo coerente, tra pulsioni pop e ritmiche ballerine. Tra chitarre acide indie e curiose sonorità vintage di flauto e tastiere, I colori di Françoise prova mix differenti per dipingere una tela originale.

Un po’ di De Gregori si sparge sulla partenza di Passato prossimo, tra le più classiche e melodiche del disco. Pianoforte e ironia amara gli ingredienti dell’incipit di Compromessi e chiacchiere da bar, che chiude l’album in modo piuttosto salace, e con assolo di chitarra.

L’album di Mosè Santamaria è soddisfacente da molti punti di vista: dimostra personalità, è più originale della media dei debutti e pur tenendo presenti forti linee melodiche, si abbandona senza paura a sonorità contemporanee.

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