Recensione e streaming: Verdena, “Endkadenz Vol. 2”
Sette mesi dopo il primo volume, che avevamo recensito qui, i Verdena pubblicano Endkadenz Vol.2. La band ha ragione di insistere sul fatto che si tratti sostanzialmente di un disco unico, anche se qualche differenza a livello di suono emerge qui e là.
Per esempio il secondo volume appare ancor più propenso a divagazioni di carattere psichedelico (o simili), a qualche tour nelle sonorità vintage e a un certo numero di piccole sorprese.
Verdena traccia per traccia
La prima traccia è Cannibale, che inizia a introdurre una traccia di testi che si occupano spesso del divino, mentre i suoni disegnano un cielo complesso, ricco di nuvole psichedeliche e rumorose.
Pianoforte e tempeste percussive occupano invece le volte sopra Dymo, cantata con voce per lo più gentile e con linee melodiche che, seppur mescolate a effetti di vario genere, risultano quasi beatlesiane nella propria essenza. Nel finale ancora pianoforte e derive quasi jazzistiche.
Molta la potenza in Colle immane, che riprende l’abito dei tre minuti e alte dosi di potenza, senza però perdersi in modo univoco dentro i vortici elettrici. Un blu sincero se la gioca tra atmosfere da power pop con punte british e qualche uscita rumorosa. Identikit imposta discorsi ritmici tra l’etnico e il vintage, con una prima immersione in atmosfere chiaramente Seventies (non sarà l’ultima).
Fuoco amico è divisa in due parti: la prima aggredisce alla gola con un drumming forte e incisivo che si prende quasi tutto lo spazio disponibile. Poi però distorsioni, vibrazioni e una chiara volontà di uscire dai canoni portano il brano fuori dai binari prestabiliti, senza mai abbassare il volume. E una volta usciti dai binari, è difficile rientrare: lo dimostra la seconda parte di Fuoco amico (con sottotitolo Pela i miei tratti), che assomma in modo violento molte storie rock per un suono che definire saturo è limitativo.
Dopo tanto travaglio, Nera Visione procura qualche attimo di calma e di pace, che però ha la durata di una strofa o poco più: emergono gradualmente istinti psichedelici, con drumming e chitarre trattenute a stento. Nessuna trattenuta invece per la batteria all’interno di Troppe scuse, che ha una struttura molto più classica delle consorelle del disco, con sonorità indie tra malinconia e rabbia. Ma come spesso nel disco, non si può pensare di terminare laddove si era iniziato: anche qui la struttura cambia, si dirama, acquisisce esperienza e si fa mutevole, come se la valigia si riempisse di suoni di battuta in battuta.
Natale con Ozzy, breve e solenne, celebra una sorta di marcia funebre strumentale. Lady Hollywood riallaccia discorsi melodici non troppo minimali, anzi, coerentemente con il titolo, si prova a mettere una grande scenografia alle spalle del brano, con archi e una tensione crescente.
Caleido si riempie di influssi blues e hard rock che si avvolgono attorno a un giro di chitarra molto potente, accompagnato da adeguato cantato spesso distorto e a volte quasi volutamente parodistico. Il disco (anzi, i due dischi) si chiudono sul passo cadenzato di Waltz del Bounty, una riscoperta melodica che mette di nuovo in evidenza un drumming sostanzioso, qualche idea pischedelica e la volontà di una riconciliazione almeno parziale dopo viaggi in territori non sempre semplici da attraversare.
Innamorati del suono delle parole come sempre, molto più volubili nella scelta di suoni ai quali non è necessario affezionarsi, i Verdena collocano sulla strada del rock italiano del 2015 un altro grande sasso: un doppio album, comunque lo si voglia coniugare, è un evento, soprattuto in un epoca costellata di ep, video e singoli, e in cui raramente le vendite sorreggono operazioni monumentali.
Forse la tensione, nel complesso delle ventisei canzoni messe in fila tra i due volumi, non è sempre alta nello stesso modo, ma non si possono discutere gli sforzi creativi del gruppo. Potrebbe non essere il White album (anzi il paragone più adatto potrebbe essere quello con Exile on Main St., ricco di canzoni di sostanza ma non tutte immediatamente mainstream). L’unico dubbio che rimane, posto che il disco/i dischi rimarranno come uno dei punti più significativi della storia della band è: ora, che fare? Ma forse è un po’ presto per pensarci.
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