“Resti”, Il Quarto Imprevisto: la recensione #TraKs
Nato nel 2012 nell’hinterland napoletano, Il Quarto Imprevisto è un quartetto che ha fatto i conti con la tradizione del cantautorato e ne ha fornito una propria interpretazione che accoglie tradizione e modernità sotto uno stesso cappello.
Moderni sono per lo più i suoni (anche se senza esagerare), moderna l’interpretazione, tradizionali le radici della melodia, come dimostra il disco d’esordio Resti.
Si parte con Mire, un brano con aspetti pop ma anche con una scrittura fluida e una struttura solida. Il passo è tranquillo e pensoso, le sonorità moderate e non troppo invadenti.
Il passo non muta di molto con Il nostro inverno, che però fa uso di qualche suono leggermente più puntuto. Qualche cambio di ritmo e un basso in evidenza fra le caratteristiche del brano. Nel finale intervengono gli archi ad aggiungere qualche sensazione in più.
La chitarra acustica disegna invece i paesaggi principali di Da lontano, che ha un andamento da folk-pop, anche se anche in questo caso si inizia in un modo ma si cambia l’abito del brano in corso d’opera.
A chiudere il cerchio ci pensa una chitarra elettrica che apre Dopo un giorno con un assolo dalle tinte blues. Ottima la prova vocale, nel brano in questione.
Arriva poi Mille, con la melodia sempre in primo piano e con un ritornello molto arioso e dal respiro ampio. Non è il caso si affida di nuovo a una chitarra acustica in vena di tangheggiare.
Pagine è un altro brano dal temperamento drammatico in modo spiccato, con un legame profondo con la tradizione della canzone d’autore italiana.
Si viaggia all’oscuro con Pare sia normale, che in un secondo tempo si apre e indossa un abito contemporaneo senza perdere le proprie caratteristiche di morbidezza di fondo.
Tutto sa di noi procede lenta fino alle inevitabili aperture/esplosioni. Si chiude con Resti, la title track, che si fa guidare dal pianoforte.
Si può rimproverare alla band probabilmente il fatto di rimanere sempre un po’ troppo uguale a se stessa, ma qualcuno la potrebbe chiamare coerenza.
Ciò che non si può rimproverare è invece la scarsa cura dei particolari o la carenza di eleganza: anzi, queste sono caratteristiche costanti per tutto il disco, a prescindere dagli strumenti utilizzati o dalle atmosfere che si cerca di instaurare.