Reverse Context è il progetto solista di Marcello Liverani: compositore, cantante, direttore di coro e pianista con un background nella musica contemporanea d’avanguardia. Switching Hitches è il lavoro d’esordio di Reverse Context, che celebra la bellezza del quotidiano.
La release del disco è associata a un progetto social di contemplative-photography, dal titolo #switchinghitches – glimpses of ordinary beauty, che raccoglie esperienze di quotidiana illuminazione da parte di fotografi, artisti visuali e persone comuni.
Arrivi al progetto solista Reverse Context con una notevole esperienza alle spalle. Quindi perché questo progetto solista e perché ora?
La mia curiosità e passione per la musica mi ha spinto, sin da giovanissimo, verso lo studio e l’approfondimento della musica tout-court. Volevo capire come questo straordinario mezzo di comunicazione si fosse evoluto nei secoli e nelle civiltà e questo mi ha avvicinato sempre più all’avanguardia musicale che, dalla rottura atonale del primo Novecento, ha portato la sperimentazione e ricerca sonora in cui convivono orchestra ed elettronica, tradizione ed innovazione. Con il passare degli anni mi sono reso conto però che nella sperimentazione e nella ricerca mi stava sfuggendo l’essenziale e cioè l’interazione e il dialogo con il pubblico in tempo reale.
Ho riflettuto in particolare se fosse possibile proporre un progetto che contenesse in sé numerosi livelli di ascolto e che fosse, quindi, apprezzabile tanto dagli addetti ai lavori quanto da un pubblico meno abituato a certi linguaggi. Reverse Context “Rovescia il contesto” appunto per cui piuttosto che proporre un prodotto musicale a un pubblico di riferimento, cerca un dialogo continuo con chiunque abbia piacere ad ascoltare le storie che vorrei raccontare. Questo è il nodo fondamentale: mi sono reso conto di voler raccontare delle storie piuttosto che dipingere quadri astratti. Credo che in questo sia fondamentale la parte “live” del progetto della quale il disco rappresenta una sorta di sintesi.
Il mood del disco può sembrare cupo ma con improvvise comparizioni ottimistiche. Con quale umore e ispirazione hai lavorato ai brani?
Chi mi conosce sa bene che il mio umore presenta un andamento piuttosto altalenante.
Esiste sempre una meravigliosa malinconia di fondo che ho imparato ad accettare con gli anni e che mi porta, paradossalmente, ad apparire estremamente estroverso e quasi euforico quando sono in compagnia. Le mie canzoni sono come frammenti della mia vita: racconto l’ironia anche un po’ incosciente con la quale credo occorra affrontare il peso esistenziale, il “dolore fondamentale” come ci suggerisce lo zen.
In fondo è questo che ci rende umani e che ci accomuna. Oltre a ciò bisogna dire che davvero ogni canzone, anche quella più psichedelica, rappresenta un momento della mia vita. In generale e semplificando al massimo le canzoni che senti come più ottimistiche parlano di momenti passati insieme alla mia famiglia che per me è la cosa più preziosa mentre quelle più cupe parlano dei momenti in cui l’umore nero nascosto dentro di me cerca di prendere il sopravvento.
Hai collaborato per alcuni brani con il giovanissimo Michele Corda nell’ambito di un progetto di alternanza scuola-lavoro (quindi a volte funziona davvero!): ci puoi parlare del tuo rapporto con lui e del suo lavoro?
Mi ricordo molto bene la prima volta che ho incontrato Michele: avevo organizzato una serata concerto per la mia scuola di musica. Michele venne ad assistere e, dopo il concerto, mi “agganciò” per parlare di musica di tutti i generi e periodi: aveva una collezione di vinili davvero impressionante! A soli 15 anni mi parlava di Bowie o dei Radiohead con la stessa passione con cui parlava di Frank Ocean o artisti meno noti come Burial.
Ha frequentato la nostra scuola per un anno e abbiamo affrontato un percorso di analisi su brani di ogni genere. Alla fine gli ho chiesto cosa ne pensasse di occuparsi di alcune tracce del disco. Mi piaceva questo paradosso: lui a quel punto appena 16enne metteva un freno alla sovrabbondanza di input musicali che io 40enne portavo nel progetto… la trovavo una cosa ironica e stimolante!
Poi ci sono stati dei momenti davvero surreali anche a causa del mio modo un po’ maniacale di portare avanti i progetti. Devo essere stato fonte di stress per lui in quel periodo ricordandogli scadenze e impegni e dimenticandomi del tutto che in fondo doveva anche studiare :)
Per certi versi siamo stati come cane e gatto, ma penso che anche questo aspetto sia stato formativo per lui!
Lui ha arrangiato insieme a me tre brani del disco: Blush, Found, Flying Giraffes; mentre ho voluto che un brano, I swim, venisse completamente riarrangiato da lui. Il risultato è una seconda anima che scorre sotterranea lungo tutto l’album ispirata ai lavori di James Blake e agli album solisti di Thom Yorke.
Il disco è affiancato dal progetto “#switchinghitches – glimpses of ordinary beauty”, progetto fotografico social: ce ne vuoi parlare?
Il titolo Switching hitches nasce da un gioco di parole hitch significa letteralmente inciampo, incidente, un bug, mentre il verbo to switch indica il passaggio da uno stato all’altro. Di fatto sono quelle piccole cose della quotidianità, un profumo o un sorriso, per esempio, ma anche una punta di malinconia o un dolore, che per qualche motivo ti fanno sentire vivo e riescono ad attivare la tua consapevolezza del momento presente.
Come ti dicevo il passaggio dalla contemporanea al songwriting è derivato dal desiderio di raccontare storie di ordinaria bellezza e di poter dialogare con più persone possibile. Il dialogo però presuppone anche un ascolto attivo. Questo progetto rappresenta la parte in cui cerco di ascoltare le visioni di chi sceglie di partecipare: le loro “visioni di ordinaria bellezza”
Il progetto è stato lanciato su instagram e #switchinghitches è ancora un piccolissimo hashtag ma in rapida crescita. Le persone a cui ne abbiamo parlato lo hanno accolto con grande entusiasmo e i contributi stanno mostrando che ognuno ha davvero una sua concezione personale riguardo alla bellezza e alla consapevolezza nel quotidiano. Lavorando a questo progetto sono venuto a conoscenza del fatto che esiste un istituto che insegna fotografia contemplativa ovvero la macchina fotografica utilizzata come strumento di meditazione, più o meno con gli stessi intenti del mio progetto: credo insomma che questa sia un’esigenza più comune di quanto si pensi.
Hai già presentato il disco dal vivo per la prima data. Puoi descrivere come sono i tuoi live set e dove sarà possibile vederti in tour prossimamente?
Come ti dicevo la dimensione live riveste una particolare importanza nel mio progetto. Ho presentato il disco nella mia città al Fabrik, un locale storicamente in prima linea nella musica dal vivo. Ho pensato al concerto di release come a una festa ed è per questo che sono saliti con me sul palco diversi amici musicisti che hanno contaminato il sound con un pizzico del loro stile. Nonostante ami le collaborazioni, il mio set di base è configurato come un progetto solista: direi che il ruolo principale lo svolgono le tastiere e il main vocals.
Lo spettacolo infatti è pensato come una narrazione in cui a uno sfondo elettronico si contrappone un intenso dialogo tra la voce, pianoforti acustici, rhodes e synth. Oltre alla voce principale e alle tastiere mi divido tra i loop delle batterie e i loop vocali che utilizzo anche in alternativa ai pad presenti nel disco. Oltre a ciò tieni conto che ampio spazio viene dato all’improvvisazione: come nella vita le esperienze non possono mai ripetersi in maniera identica, anche la performance vive di tantissimi elementi: non solo l’energia del pubblico e del luogo è sempre diversa ma io stesso non sono più lo stesso del concerto precedente, perciò nessuna canzone viene riproposta uguale a se stessa e tanto meno alla versione in studio.
Per quanto riguarda le prossime date sto preparando dei piccoli tour in giro per l’Europa a partire dalla tarda primavera. A breve date e luoghi sul mio sito internet!
Reverse Context traccia per traccia
Il disco si apre con Octopus, aperta da un giro di pianoforte presto sovrastato da percussioni elettroniche moderate ma irregolari. Quando entra la voce, ricca di qualità peculiari, il percorso del brano si fa più evidente e fluido.
Si passa al fiabesco con Little Red Riding Hood (nome inglese di Cappuccetto rosso), che emerge piano piano da un sottobosco elettronico molto soft. Found vede l’intervento e la rielaborazione del giovane Michele Corda, oltre che un background molto morbido sul quale si stagliano giochi di luce e impuntature di batterie elettroniche.
Ecco poi Blush, costruita su equilibri sottili di elettronica e voce, con un suond particolarmente vicino al contemporaneo ma anche con una certa forza sanguigna e drammatica.
Tutt’altro clima quello di Elsewhere, tutta sottovoce e appena sotto il filo dell’acqua, nonostante qualche tentativo vocale di emersione. A proposito di emersioni, ecco I Swim e le sue acquaticità, anche in questo caso con l’intervento di Corda, ma anche con sentimenti piuttosto dark wave. Il brano ha una coda finale quasi spirituale.
Waste parte con la chitarra acustica, anche se è chiaro fin da subito che gli esiti saranno tutt’altro che tranquilli, infatti ben presto si inseriscono ritmi più intensi ed elettrificati.
Il senso del dramma non manca certo nemmeno da Flying Giraffes, capace di innalzarsi fino a un climax importante, seguito poi da una decrescita non tanto felice ma graduale.
LoopPool è breve e disturbata dai glitch. Il disco si chiude con Night Calls, altro pezzo fondamentalmente soffice ma mai piatto, che mette in evidenza retrogusti blues e soul.
Progetto molto convincente, quello al quale Marcello Liverani ha appiccicato l’etichetta di Reverse Context. La voce e i percorsi electro del disco offrono l’impressione di camminare sempre su terreni mobili, ma si tratta di oscillazioni e vibrazioni oniriche che raggiungono vette notevoli e poetiche.