Rino Gaetano: ma io con la mia guerra voglio andare sempre avanti #sottotraccia
Come da tradizione (recente) dedichiamo agosto alla lettura: per il 2024 abbiamo deciso di ripubblicare una serie di pagine tratte dal volume “Italia d’autore” (Arcana, 2019), dedicato ai grandi cantautori che hanno fatto la storia della musica italiana
Salvatore Antonio Gaetano detto Rino nasce a Crotone il 29 ottobre 1950, ma quando ha dieci anni con la famiglia si trasferisce a Roma perché il padre soffre di cuore e ha bisogno di cure mediche. Rino è iscritto a una scuola apostolica di Narni, in provincia di Terni, ma quando torna a Roma non sembra molto interessato a discorsi ecclesiastici.
Fonda invece un gruppo rock, i Krunx, con cui canta canzoni dei Beatles e dei Rolling Stones. L’amico Marcello Casco lo introduce al Puff, il cabaret di Lando Fiorini, frequentato anche da Venditti, De Gregori e altri. Comincia così il percorso alla ricerca di un contratto discografico: a Milano conosce De André, poi durante un’esibizione al Folkstudio incontra Vincenzo Micocci, che gli apre le porte dell’etichetta It.
L’esordio è con il 45 giri I love you Marianna, pubblicato sotto lo pseudonimo Kammamuri’s e con la produzione di Venditti, Piero Montanari e Aurelio Rossitto. Nel 1974 arriva anche il primo album, Ingresso libero, che non ottiene tuttavia particolari riscontri di vendita né di critica. Tra i brani presenti ci sono Ad esempio a me piace il Sud, canzone già nota perché incisa l’anno precedente da Nicola Di Bari con un testo leggermente diverso, e I tuoi occhi sono pieni di sale, una specie di divertissement quasi psichedelico.
Le caratteristiche della poesia surreale di Gaetano, compagna costante, forse non abbastanza sottolineata, dell’ironia che riempie molti suoi testi, esplode nel brano di apertura Tu, forse non essenzialmente tu, che anche dal punto di vista musicale è uno dei migliori risultati del cantautore; la canzone uscirà anche come singolo. C’è poi A Khatmandu, un viaggio guidato soprattutto dall’hashish e da altre sostanze, c’è Agapito Malteni il ferroviere, che sarebbe ispirata a La locomotiva di Guccini, ma trasportata sul Tavoliere delle Puglie e condita da curiose invenzioni musicali.
C’è anche L’operaio della Fiat “La 1100”: un disgraziato si spacca la schiena in catena per costruire la Fiat 128 e quando è pronto per un weekend (a Moncalieri!) scopre che gli hanno bruciato l’auto, una Fiat 1100. Il disco, come detto, è un po’ troppo in anticipo sui tempi: dal punto di vista musicale segue da vicino i ritmi del blues internazionale, con qualche spruzzata rock qui e là, mentre i testi hanno un tocco personale di assoluta originalità, legati a doppio filo con la realtà quotidiana e senza nemmeno l’utilizzo di metafore, di cui per esempio faceva uso il contemporaneo Bennato. Per la fama è soltanto questione di tempo: ci si arriva l’anno dopo, con Ma il cielo è sempre più blu.
Chinaglia non può passare al Frosinone
Nel 1976 esce Mio fratello è figlio unico, album che si può qualificare come un successo, trainato soprattutto dalla title track, che apre il disco e che rappresenta al meglio l’anticonformismo di Gaetano: il “fratello” della canzone è sostanzialmente torturato dalla società perché «è convinto che Chinaglia non può passare al Frosinone/perché è convinto che nell’amaro benedettino/non sta il segreto della felicità/perché è convinto che anche chi non legge Freud/può vivere cent’anni» e per tutta una serie di pensieri personali, anche insignificanti, ma che vanno contro il senso comune.
Altre canzoni salienti sono la curiosa Sfiorivano le viole e soprattutto Berta filava, forse non il testo più complesso mai scritto dal cantautore, ma sicuramente uno dei maggiori successi, oltre che una delle scene più surreali della tv degli anni Settanta: Gaetano si presenta per cantare il brano durante la trasmissione Rai Adesso musica, accompagnato da un cane con cui gioca a palla per tutto il tempo dell’esibizione. Spiegherà durante l’intervista che il cane è simbolo dell’emarginazione e della solitudine: la simpatia per questo quadrupede fedele e affettuoso tornerà di lì a poco anche nella canzone Escluso il cane.
Da notare, nell’album, anche La zappa… il tridente il rastrello la forca l’aratro il falcetto il crivello la vanga, dicotomia chiara fra la nobiltà del lavoro umile e la vanità degli atteggiamenti del bel mondo, in un contesto non poi lontano dalla Contessa di Pietrangeli. Nel 1977 continua il ritmo di un disco l’anno e pubblica Aida, forse anche più ambizioso dei precedenti, a partire dal brano omonimo, che sostanzialmente racconta la storia d’Italia, da Mussolini allo scandalo Lockheed.
L’atteggiamento è sempre di chi percorre a volo d’uccello i fatti (non si può pretendere che una canzone approfondisca quanto un libro di storia) andando però a toccare i nervi scoperti, «i salari bassi la fame bussa, la Costituente/la democrazia/ma chi ce l’ha: Aida», omaggio a Verdi, è ovviamente l’Italia, ma se il Paese di De Gregori e di Viva l’Italia, per esempio, sembra preso da una prospettiva che comunque giudica dall’alto, Gaetano non fa alcuno sforzo per tenersi al livello del terreno, per volare basso e vedere più facilmente il piede del gigante che ti calpesta.
Particolarmente notevole il verso «Cristo e Stalìn», con il dittatore russo declinato con l’accento sulla “i” per esigenze metriche, con l’effetto di renderlo forse meno terrificante. Il resto dell’album è composto di canzoni meno note: da Spendi spandi effendi alla già citata Escluso il cane.
Sanremo: nuntereggae più
Ma secondo la sua casa discografica i tempi sono maturi: Rino Gaetano deve portare a Sanremo il suo stile, per arruffare i petali della rassegna musicale più famosa.
Rino è perplesso: non si riconosce nello spirito del Festival, anzi sembra andare in direzione decisamente contraria. Alla fine però vince la casa discografica. Sulle prime, pensa di presentarsi con il brano Nuntereggae più. L’alternativa sarebbe Gianna, che pure Gaetano non ama particolarmente: la considera troppo commerciale e, forse non del tutto a torto, pensa si tratti quasi di una brutta copia di Berta filava. Forse puntando anche su queste caratteristiche di semplicità e di appeal, come si direbbe oggi, la scelta cade proprio su Gianna, poco tempo prima dell’inizio del Festival.
È la scelta giusta: tra la sorpresa generale, la canzone si classifica terza e, grazie anche al trampolino di Sanremo, rimane per quattro mesi in classifica, vendendo oltre 600.000 copie. Gaetano è ormai un cantautore di serie A: vende molto, è uscito trionfatore da Sanremo, pubblica un disco, Nuntereggae più, che utilizza De Gregori come seconda voce in Fabbricando case. E soprattutto, nel pezzo che dà il titolo all’album, fa i nomi: Nuntereggae più cita direttamente i partiti di maggioranza e opposizione, e fin qui sono capaci tutti.
Ma fa anche riferimenti all’élite industriale italiana, tirando in ballo tutta la famiglia Agnelli, nonché Pirelli, tra quelli che non si reggono più. E poi i casi di Vincenzo Cazzaniga, ex presidente di Esso Italia, nonché il riferimento alla vicenda di Capocotta, dove fu trovato il corpo di Wilma Montesi, riaprendo così un caso di affari loschi e impunità politiche.
Fra i citati numerosi sportivi, probabilmente con il fine di sostenere, non a torto, che lo sport era utilizzato allora come oggi per distrarre i cittadini dalle vicende veramente importanti, ma anche personaggi televisivi come Raffaella Carrà, Mike Bongiorno e Maurizio Costanzo, il quale non è felicissimo del riferimento e dichiara che il prossimo successo di Gaetano sarebbero state le Pagine Gialle. In un’intervista a Enzo Siciliano, il cantante replica all’accusa di qualunquismo riguardo alla canzone.
Si rischia il qualunquismo quando uno attribuisce a una canzone l’effetto di un comizio politico, non quando pensa di scrivere una canzone da ore liete, evasiva […]. Le mie sono canzoni d’amore per la società.
Il disco contiene anche E cantava le canzoni, che è anche il brano che Gaetano ha scelto come sigla per il programma radiofonico di RadioUno Canzone d’autore, di cui è conduttore. La trasmissione, che precedentemente aveva avuto alla guida Eugenio Finardi, si basa su un’idea semplice: far commentare i brani musicali agli stessi musicisti.
E io ci sto
Il ritmo continua a essere serrato per il cantautore crotonese, come se in fondo sapesse di non avere troppo tempo: nel 1979 esce Resta vile maschio, dove vai?, in cui si permette perfino il lusso di scrivere la canzone omonima con Mogol. E nel 1980 arriva anche E io ci sto, ultimo album e ultimo singolo, che lascia forse intravvedere una mezza svolta: il testo della canzone dice «ma io con la mia guerra voglio andare sempre avanti/e costi quel che costi la vincerò non ci son santi», ma apre anche a ripensamenti prima difficili da intuire («In fondo è bello però, è il mio Paese e io ci sto»), il tutto immerso in un rock piuttosto convenzionale.
Rino si è perfino tagliato i capelli, può risultare presentabile, insomma potrebbe cadere nel “normale” da un momento all’altro. Il problema è che non conosceremo mai il seguito, nemmeno delle carriere parallele alla musica: per esempio nel 1981 aveva iniziato a recitare a teatro con Carmelo Bene, nella parte della volpe nel Pinocchio di Collodi. Ha trent’anni, Rino, ha il vento che soffia nelle vele e sembra che qualcuno inizi ad ascoltarlo senza quel mezzo sorrisetto irridente che a molti spuntava in bocca ai suoi esordi.
Ma il 2 giugno 1981 rimane vittima di un incidente stradale su via Nomentana a Roma. Pochi giorni prima aveva ricevuto un avvertimento piuttosto consistente: assieme all’amico Bruno Franceschelli era stato coinvolto in un altro scontro automobilistico, dal quale era uscito illeso per miracolo; la sua auto, una Volvo 343, era rimasta completamente distrutta. Rino ne acquista subito un’altra uguale, di colore grigio metallizzato, con la quale finirà contro un camion.
Soccorso già in fin di vita, il cantante è rifiutato da ben cinque ospedali, una circostanza sorprendentemente simile a quella narrata in uno dei suoi primi testi, La ballata di Renzo. Si sarebbe dovuto sposare pochi giorni dopo con la compagna, Amelia Conte. Oggi le canzoni, seppur usate a volte in modo piuttosto discutibile, vivono una seconda giovinezza, anche se è ancora presto per capire se si tratta di una moda passeggera o se rimarranno vive ancora a lungo.
Resta il dubbio su che cosa avrebbe fatto da grande, posto che sono pochissimi quelli che continuano a essere veramente arrabbiati per tutta la vita. Forse sarebbe cambiato, forse no, anche se qui interessano soprattutto le idee: e qualche idea rabbiosa, vicina agli ultimi, attenta alle differenze di classe che non sono mutate nonostante le generazioni, farebbe comodo anche adesso.
E invece, morti De André e Gaetano, ognuno con il proprio modo, pare che a cantare gli ultimi non sia rimasto nessuno. C’è di buono però che l’eredità di Rino è vivissima nell’ultima generazione di cantautori: basta ascoltare, per esempio, Giovanni Truppi (ma gli esempi potrebbero essere numerosi) per rendersene immediatamente conto.