Ron Gallo, “Stardust Birthday Party”: la recensione #TRAKSTRANGERS

ron gallo

Il secondo album di Ron Gallo è Stardust Birthday Party, in uscita per New West a poco più di un anno dal debut album Heavy Meta. Preceduto dai video Always Elsewhere e Do You Love Your Company?, Stardust Birthday Party è il risultato di un importante percorso interiore.

Dopo un disco, Heavy Meta, creato da “un ragazzo di Philadelphia perso a metà dei suoi vent’anni, in una relazione con qualcuno che stava lottando con problemi di salute mentale e con una devastante dipendenza dall’eroina. Stavo scrivendo Heavy Meta, la porta perfetta per vedere il posto che avrei voluto evitare per sempre: me stesso“.

Stardust Birthday Party racconta invece il percorso interiore. L’amore. Il cambiamento. “Ecco di cosa parla questo album, sono io che ballo mentre distruggo la persona che pensavo di essere. Stardust Birthday Party parla dell’evoluzione umana. In particolare, di un’evoluzione umana: la mia, Ron Gallo”.

“Nel libretto dell’album di John Coltrane’s ‘A Love Supreme’ (che noi omaggiamo in Stardust Birthday Party) lui scrisse: ‘Durante l’anno 1957, ho vissuto, per grazia di Dio, un risveglio spirituale che fu lì per portarmi in una vita già ricca, più piena e più produttiva. A quel tempo, in gratitudine, chiesi umilmente di darmi i mezzi e il privilegio di fare felici gli altri attraverso la musica’. È quello. È la pura essenza della creatività. Ecco perché questo album esiste. Grazie, se vorrete condividere questo con me.”

Ron Gallo traccia per traccia

Dopo la rapida e introduttiva Who Are You (Point to it!) si parte con Always Elsewhere, che porta in dote il bagaglio ormai classico dei rock “alla Ron Gallo”, che frullano elementi punk, avanguardia, ma con lo sguardo che ogni tanto butta l’occhio a Devo e Talking Heads.

Prison Decor si delinea come più sfumata e quasi sognante, con qualche arpeggio e una dose di elettricità distribuita in modo irregolare. Invece Party Tumor di sognante non ha nulla, ma in compenso è ricca di sostanze brucianti e urticanti.

Do You Love Your Company? appartiene alle situazioni più sbilenche, a partire dal cantato. Si rallenta molto con “You” Are The Problem, accompagnata da chitarra lamentosetta e con un po’ di Velvet Undeground sullo sfondo.

Meditazione e paradosso contrassegnano OM, intermezzo a metà album che lascia presto spazio alle follie punk di It’s All Gonna Be Ok, contrassegnata da molti cambi di marcia, compreso un finale quasi jazzato.

I Wanna Die (before I die) scava trincee anche più profonde, giocandosi su echi e risonanze. L’omaggio a Coltrane si fa esplicito con Love Supreme (Work Together!), anche se ovviamente è un omaggio più teorico che pratico.

Cori, opposizioni di voci, toni ironici e surreali sono il centro di The Password. Mood un po’ da crooner quello proposto da Bridge Crossers,  anche se molto ricco di chitarre.

Toni molto più apparentemente rilassati in Happy Deathday, che ha volumi abbassati e qualche piccola scintilla che si perde nella notte.

Le bizzarrie sonore di Ron Gallo non sono la parte preponderante di un disco che dimostra come il cantautore della Pennsylvania abbia gettato radici profonde e abbia una visione complessiva più centrata rispetto al pur notevole esordio.

Genere: songwriter, punk, avanguardia

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