Samu L: “Parlare di sé ha sempre un costo”
Si intitola Primordiale e racconta una storia non sempre facile il primo ep di Samu L, artista portatore di un solido “conscious rap” e di esperienze affrontate lungo il proprio percorso di transizione. Ecco le sue risposte alle nostre domande.
La prima domanda che vorrei farti è, diciamo “emotiva”: quanto ti costa (o eventualmente quanto ti ha aiutato) esporre il tuo processo di transizione e, diciamo pure, tutta la tua persona, in musica e in questo ep d’esordio?
Parlare di sé ha sempre un costo perché cela la consapevolezza di mettersi a nudo di fronte a chiunque abbia voglia di ascoltare. E’ chiaro comunque che sia stato fatto con una certa consapevolezza e che nulla sia lasciato al caso. Quando ho scelto le tracce da inserire mi sono chiesto “sarei pronto a rispondere a domande su questo argomento?” perciò il costo emotivo è decisamente qualcosa che sono disposto a pagare. Sicuramente mi ha anche aiutato, perché mettere le idee nero su bianco ha sempre fatto chiarezza, ha sempre messo ordine nella mia testa.
Raccontaci di più di Primordiale: per esempio, perché questo titolo?
Primordiale è il modo in cui definisco qualcosa su cui c’è ancora molto da dire. Primordiali sono le mie emozioni e il mio modo di affrontarle, sono sempre stato guidato dalle mie sensazioni e dal mio istinto, si potrebbe dire che uno dei miei più grandi difetti sia l’impulsività. Primordiale è la rabbia che mi ha sempre spinto in avanti e credo di essere riuscito finalmente a incanalarla nel modo giusto. Ogni brano all’interno del disco è un piccolo pezzo di ciò che sono e della mia vita, ma c’è ancora tanto da raccontare.
Che sensazioni ti evoca pensare alla lavorazione dell’ep?
Sicuramente una grande soddisfazione. Mi sembra siano passati pochi giorni dall’inizio di questo progetto e mi rendo conto, invece, di essere cresciuto insieme alla sua realizzazione. Non avevo idea di cosa volesse dire fare musica, e forse ancora non lo so, di certo ho moltissimo da imparare, ma partivo da meno di zero e sono soddisfatto del mio percorso artistico. In parte provo un po’ di malinconia perché mi sembra di aver concluso qualcosa che ha fatto parte della mia vita per molto tempo, ma sono pronto a iniziare qualcosa di nuovo, a continuare in questa direzione.
Il conscious rap è forse l’ultima forma di musica profondamente politica, vista la sostanziale presa di distanze di quasi tutti gli altri generi. In questo senso provi una sensazione di isolamento oppure è qualcosa che non ti tocca?
Sicuramente mi discosto dagli altri generi e si può dire che, nell’ambito rap, sia forse il genere un po’ più di nicchia. Non mi sento isolato in alcun modo perché credo che la musica di tutti e mi sono spesso sentito dire “di solito non ascolto il tuo genere ma la tua musica mi piace”. Credo sinceramente che chiunque possa ascoltare ogni tipo di musica se pensa che ne valga la pena, a prescindere dai gusti personali. Il conscious rap è profondamente politico, ma il mio primo intento più che politico è sociale: credo che la musica doni visibilità e che, per questo, ci sia una certa responsabilità dietro. Non pretendo di educare nessuno, sia chiaro, ma nel modo più semplice possibile, mostro me stesso per combattere l’ignoranza.
Qual è il brano che senti più “vicino” e perché?
Ogni brano mi è vicino relativamente a un periodo della mia vita e del mio percorso. Resistiamo è stato il primo e mi ha dato la possibilità di fare musica, è sicuramente un brano di impatto e di ricerca della reazione da parte dell’ascoltatore. Anche se ad un orecchio poco attento può non sembrare così, tuttavia, Riga Dritto è in assoluto il più intimo, quello in cui è racchiuso il lavoro psicologico più grande.
Vorrei saperne di più sulla nascita di un pezzo come “Stonewall”, anche in merito alla collaborazione con Hellsy.
Hellsy per me è come una sorella sotto tutti i punti di vista. Siamo stati amici molto prima di essere ‘colleghi’. Ci siamo conosciuti molti anni fa in uno studio di registrazione e il destino ha voluto che entrambi percorressimo lo stesso sentiero. Abbiamo affrontato insieme il percorso di transizione, che per me è stato la spinta per iniziare a fare musica sul serio, per lei invece è stata l’interruzione del suo percorso musicale, perchè la disforia è abbastanza dura da mandare giù. Sono stato io a chiederle di aiutarmi al mio primo live e da quel momento non ci siamo più fermati, abbiamo fatto innumerevoli concerti insieme e lavorato sia singolarmente che in coppia. Stonewall è il brano che racchiude l’attivismo a cui ci dedichiamo ogni giorno, in modi diversi, è nato per gli obiettivi comuni e per ciò che abbiamo vissuto insieme.
“Siamo un prodotto commerciale pronto alla condanna”, dici in Lasciali parlare. Considerando che l’ipocrisia è una specialità italiana non inferiore alla pizza e all’arte rinascimentale, quanto incide questo tipo di atteggiamento sul tuo vissuto e sulla tua scrittura?
Lasciali Parlare è il brano che parla esattamente di questo tipo di atteggiamento. Le persone ascoltano solo se poi hanno qualcosa di cui parlare e in questo senso “piace il dramma”, ma io sono disposto a lasciare che ne parlino, che si confrontino con le loro idee e che abbiano la possibilità di andare oltre al velo dell’ ipocrisia. Se poi lo faranno o meno non lo so, sarà una scelta loro, ma credo che valga la pena dare fiducia e dare l’opportunità di valutare e rivalutare le proprie convinzioni.
Quali sono i tuoi punti di riferimento musicali? Se possibile e se ne hai, vorrei sapere se oltre ai rapper ci sono anche cantautori la cui scrittura ti influenza particolarmente.
Gli artisti che mi hanno ispirato di più sono Rancore e Murubutu, credo che abbiano una capacità di scrittura incredibile, e anche se sono molto diversi tra loro, entrambi hanno sempre creato delle immagini nella mia testa. Penso che l’obiettivo della musica debba essere anche questo e perciò ho cercato, con il mio modo e il mio stile, di creare anche qualcosa che possa farsi strada nella mente dell’ascoltatore. Sicuramente sono un fan di quel “cantautorato di un tempo” espresso da De Gregori, Venditti, De André, ma non posso dire di essere stato influenzato dalla loro scrittura.
Che tipo di risposta ti aspetti da chi ascolta questo ep per la prima volta?
Quello che spero è trasmettere in queste tracce con semplicità ciò che provo e ciò che sono, cercando di regalare le mie sensazioni a chi ascolta. Cerco di non avere aspettative, spero che vengano percepiti i messaggi che intendo mandare, che la mia musica venga capita. Spero che chi ascolta questo EP per la prima volta abbia voglia di riascoltarlo.
Quali sono le tue speranze, da qui in avanti?
Penso che la musica sia fatta di mattoncini, sto iniziando a posare i primi. La mia speranza è di poter continuare a posarne all’infinito, non credo che ci sia una fine nel percorso musicale di una persona, al contrario penso di dover continuare a crescere e a lavorare, portando questi mattoncini a creare un ponte con le persone.