Sanremo è Sanremo (ed è giusto farlo con il pubblico)

Sanremo 2021

Da quando Amadeus e la Rai hanno messo in chiaro le proprie intenzioni rispetto all’edizione 2021 del Festival di Sanremo, cioè metterlo in scena, e per di più di fronte a un pubblico in sala, si sono levate voci in netta contrarietà.

Ma come? Concerti vietati da mesi, musei e mostre chiusi, cinema sbarrati, teatri moribondi, per non parlare della scuola, dell’università, di bar, locali e ristoranti. E voi tirate in piedi questo carrozzone fatto di lustrini e pop? Ma come vi permettete?

Anche un intellettuale di grandissimo valore come Moni Ovadia ci è andato tutt’altro che leggero: “Perché Sanremo si fa con il pubblico e i teatri sono chiusi? È inspiegabile. Per Sanremo il discorso della sanità non conta niente? Se Sanremo è più importante della cultura allora vuol dire che questo paese è perso per sempre”

(Fonte: ADN Kronos)

Perso per sempre, addirittura. Un giudizio definitivo e devastante. Personalmente, ho sempre avuto un rapporto ambivalente con il Festival di Sanremo. Da bambino e ragazzino lo guardavo con attenzione e rapimento, com’è prassi comune per chi cresca in una famiglia interessata alla musica.

Mi sono sorbito la vittoria di Tiziana Rivale (diciamo l’equivalente dei Jalisse qualche anno prima) ma sono stato conquistato da quella di Alice. Ho visto Vasco, Zucchero, ma anche personaggi meno nobili. Poi ho iniziato a seguirlo soprattutto per gli ospiti stranieri. Ho visto Peter Gabriel volare attaccato alla liana sulla platea dell’Ariston. Ho visto gli Smiths cantare Ask e ho scoperto, dapprima odiandoli e poi amandoli tantissimo, i Cure di Why Can’t I Be You. Ho visto Springsteen cantare nel silenzio The Ghost of Tom Joad.

Poi ho avuto un rifiuto, ho iniziato a seguire tutt’altra musica e perciò ho iniziato a disprezzare Sanremo. Finché su quel palco ci sono saliti Afterhours e Marlene. Così l’odio-amore è continuato per un po’. Continuo a non amare particolarmente la parte gossippara, l’eccessiva invadenza delle case discografiche, la parte prettamente “televisiva” e molto poco musicale del Festival. Ma sono stato, per motivi professionali, presente alle ultime due edizioni e non ho potuto non apprezzare organizzazione e fascino della “kermesse” (perché alla fine ogni anno bisogna dire che Sanremo è una “kermesse”, no?).

Ci sono i lustrini e le paillette, c’è roba molto cheap, dentro e fuori dall’Ariston, ma c’è anche una tradizione musicale, veramente musicale, molto peculiare che passa da quel palco e da quella città.

Perché dico questo? Per chiarire che non sono pregiudizialmente a favore né pregiudizialmente contro il Festival. L’ho amato e l’ho odiato, come tutti o quasi. E quest’anno, a prescindere, non ci andrò perché non mi sembra il caso, per cui che si faccia o meno personalmente non mi stravolge la vita.

Tuttavia, dopo attenta riflessione, ritengo del tutto giusto e motivato che quest’edizione del Festival si faccia. E penso che sia giusto che si tenga di fronte a un pubblico, che peraltro sarà composto di figuranti stipendiati (com’è stato per esempio con X Factor), sottoposti a tamponi quotidiani e perfettamente controllabili, nonché da esponenti della sanità già vaccinati. Il prefetto di Imperia l’altro giorno ha dichiarato che, fino almeno al 5 marzo, quindi fino alla serata finale, non ci sarà possibilità di includere pubblico né pagante, né su inviti. Il che, naturalmente, lascia fuori persone assunte ad hoc per fare da pubblico. Quindi non una folla disordinata e indistinta, controllata finché è a teatro e poi libera di fare quello che gli pare, prima di tutto intasare i trasporti, come sarebbe per eventi live di qualunque tipo.

Quest’ultimo aspetto è assente dalle parole di molti commentatori, però è decisivo. Anche nell’intervista di Moni Ovadia questo versante organizzativo è del tutto invisibile. Ora non è che mi metto a polemizzare con Ovadia: primo perché non se ne accorgerebbe, secondo perché è personaggio che merita un tale rispetto che il mio tentativo risulterebbe del tutto ridicolo. Però è abbastanza evidente come la sua sia una visione, in questo caso, piuttosto parziale.

Ci sono almeno due motivi fondamentali per cui questo Festival s’ha da fare con il pubblico. Il primo è economico, e per come va il mondo basterebbe questo. Come ha scritto il Fatto Quotidiano (https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/01/19/sanremo-2021-certezze-retroscena-e-costi-del-festival-tutto-quello-che-volete-sapere-e-nessuno-scrive/6070452/), l’anno scorso Sanremo è costato alla Rai tra i 16 e i 17 milioni, ma ne ha fruttati 37. Una ventina di milioncini puliti per un lavoro concentrato in un periodo abbastanza ristretto. E che finanzia un bilancio Rai sempre più in sofferenza. E non so se ve lo devo ricordare, la Rai la paghiamo noi, almeno in parte, con il canone.

Il bilancio Rai significa anche la possibilità di fare altri programmi, facendo lavorare proprio quei tecnici spesso non contrattualizzati e che sono in sofferenza per la pandemia. Un effetto a catena che, in caso di cancellazione, porterebbe a ulteriore disoccupazione.

Ok ma allora perché con il pubblico? Non basta mettere i cantanti a cantare in un teatro vuoto o in una location più piccola, adattata allo scopo?

Se vi è venuto in mente questo interrogativo, significa che non avete presente Sanremo oppure non avete visto quasi niente di quello che è andato in onda in questo periodo. Alcuni programmi si stanno tenendo senza pubblico, da L’eredità a Fratelli di Crozza. E anche gli eventi sportivi sono per lo più deserti, con il pallone che rimbalza e le urla degli allenatori che si sentono forte, come al campetto. In America giocano a basket con il rumorista che fa del proprio meglio per riprodurre i rumori della folla. E il “proprio meglio” mette abbastanza tristezza.

Abbiamo avuto modo di vedere eventi musicali live, in streaming e senza pubblico, di varia levatura. E ci sono poche sensazioni più raggelanti di quella che arriva quando qualcuno canta con tutta la propria energia, forza e passione e poi… niente, finisce la canzone e si deve battere le mani da solo.

Questo però nell’evento in streaming che fai a casa tua, provvisoriamente, può anche andare bene. Ma avete presente Sanremo? Tipo, non so, quest’anno vince Fulminacci e secondi Colapesce e Dimartino, e terzi i Coma_Cose (magari). E non c’è nessuno, se non Amadeus, che gli fa un applauso, che lancia un urlo, perfino che contesta perché preferiva Orietta Berti. Ma che schifo fa? Ma in quanti non cambierebbero canale di fronte a uno show così burocratico?

Ma c’è anche un altro aspetto da considerare, ed è quello simbolico. Siamo animali che hanno bisogno di motivazioni, questo credo non lo possa negare nessuno. E l’ultimo evento che si è celebrato in condizioni “normali” prima della pandemia, del lockout, dei morti di Bergamo e del resto d’Italia, della crisi economica, delle false ripartenze, delle mascherine e della crisi di governo più cervellotica dell’ultimo trentennio e oltre, è stato Sanremo.

Penso sia evidente a tutti il valore simbolico che potrebbe avere una rinascita che parta proprio da lì, da dove avevamo sospeso tutto. Tra l’altro sfruttando in funzione anti-no vax i sanitari, che saliranno sul palco a dirci quanto sia importante farci vaccinare e a far vedere concretamente che in questo modo potremo ricominciare, piano piano, a riconquistare una “normalità”.

Perché in definitiva Sanremo è questo, da un settantennio, in Italia: normalità. Una settimana di folle normalità che convoglia il meglio e il peggio di un paese per lo più insensato.

Noi di TRAKS, un anno fa, eravamo lì che passeggiavamo e ci facevamo i selfie, ci godevamo il sole della Riviera e una folla ciarliera e felice, a caccia di un autografo di Levante o di una stretta di mano di Rancore, mentre la gente scopriva i PTN, Pelù rubava borsette e Morgan, be’ Morgan lo sapete. Da allora, infatti, sono state soltanto brutte intenzioni e maleducazione.

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