Si autodefinisce “artigiano del suono”: in realtà la musica di Fausto Bisantis ha quel tocco di follia che, per citare un suo brano, rende il suo artigianato un'”Anomalia”. Nella sua musica si riconosce l’eredità di Frank Zappa, unita a esperienze più personali. Lo abbiamo intervistato.
Mi puoi raccontare la tua storia?
Come tanti artigiani del suono la mia storia è abbastanza comune, ma la musica ha da sempre fatto parte della mia vita. Era talmente parte di me che, al contrario di tanti mi sono sforzato io di intraprendere le classiche attività ludiche dei bambini come giocare a calcio, fare escursioni ecc.
Poi la voglia di girare si modifica, il calcio non sono mai riuscito a farmelo piacere e ho ceduto alla musa: a 11 anni ho conosciuto quel mostro magico chiamato pianoforte. Col passare degli anni mi accorgevo di quello che amavo e quello che detestavo, mentre tra amici scoprivamo di avere una passione comune.
Nascono così nel 1995 gli Apple Pie, la mia prima band, nella quale già si trovavano diversi linguaggi, dal pop al punk al grunge, senza distinzioni e standardizzazioni in un solo genere.
Poi arriva l’università e qui lo studio accademico e musicale si fanno strada e si intersecheranno a vicenda, passando dalle esperienze radiofoniche e giornalistiche, alla realizzazione di musiche per teatro, radio e documentari, nonché a solide collaborazioni orchestrali in diversi progetti di musica d’avanguardia.
Parallelamente nel 1999 nascono i Samà, che univano il rock psichedelico a un profondo esoterismo e che ha spianato la strada a quella che poi sarebbe stata la mia strada come compositore. Dopo diverse esperienze nel 2010 approdo al mio primo lavoro solista “From the Aisle Graig…”
Un concept album dove raccolgo il mio piccolo bagaglio, per descrivere un mondo dove la curiosità e la profondità dell’oltre diventano la vera variante a una vita regolare, con un linguaggio musicale eclettico e anche grottesco, nel quale la sinfonia e il progressive si mescolano naturalmente anche a nuove soluzioni ritmiche e stilistiche che guardano anche a culture lontane dal nostro mondo.
Così per il secondo lavoro “Sketches of tunes”, ovvero una summa di divagazioni estetiche e sensoriali per piano solo e “Several Orchestral Fairlights” del 2011, che racchiude alcune delle colonne sonore teatrali e radiofoniche.
Il tuo ultimo lavoro, “20.000 Windows”, è uscito qualche tempo fa: mi puoi raccontare che tipo di accoglienza ha ricevuto, soprattutto dal vivo?
Anche quest’album ha avuto una gestazione lunga di circa due anni che si incrociava con un altro passaggio cruciale della mia vita, per uscire nel marzo del 2013.
Devo ammettere che, per quanto non fossi soddisfatto del lavoro (ma non lo sono mai in realtà), ho voluto mettermi alla prova di nuovo, facendo un disco diverso dagli altri, che pur mantenendo le linee guida di sempre, è stato più ragionato e indirizzato verso una ricerca all’interno di più stili, mentre il primo si rivolgeva molto alla sperimentazione sui suoni.
Prendendo atto anche delle critiche rivolte al primo lavoro, mi sono soffermato sui potenziali errori, riducendo la linea alle potenzialità espressive.
Il risultato è stato un prodotto che, sebbene sembri un po’ elitario e di nicchia, cerca di esporre un linguaggio che oltrepassi il rock tradizionale e la forma canzone, ricevendo moltissimi consensi (più di quanto potessi aspettarmi) nelle esibizioni dal vivo grazie al fantomatico trio che mi accompagna in questo delirio, Faust & the Malchut Orchestra, perché anche in pochi produciamo davvero tanti suoni.
Ha avuto parecchie recensioni su riviste specializzate, alcuni passaggi in radio all’estero tra cui Londra e Lussemburgo e uno dei brani farà parte della colonna sonora di una docufiction molto bella sul Manicomio di Girifalco (CZ), in programma per l’estate.
Nella tua musica si avvertono svariate influenze: quella zappiana, ma anche di band e generi dalle direzioni convergenti, come progressive italiano e straniero, nonché un po’ di jazz. Che cosa ascolti e da cosa ti lasci influenzare?
Come accennato prima le influenze sono molteplici, perché ognuna ha attraversato parte della mia vita. Io nasco con Franco Battiato e i Beatles, per passare naturalmente ai Pink Floyd, mentre il buon Gerswin e Ravel già si impossessavano di me.
Poi la passione fortissima verso la forma sonata e la sinfonia con Bach, Handel e Beethoven, si incrociavano naturalmente ai ELP e ai Gentle Giant. In più il blues, il funk, la samba e seppur tardivo il jazz hanno preso il loro posto in questo surreale universo spicciolo che considero la mia musica, nella quale i parossismi ritmici di Bartok e Stravinskij hanno la loro componente più vitale.
Ma un ruolo predominante lo detiene la scena italiana, se non altro per il debito artistico e umano che devo ad Area e Osanna, ma anche personale per le anime del Banco del Mutuo soccorso, che ho avuto l’onore di conoscere e vivere direttamente.
In pratica per me la musica è sempre stata una grande valle dove può crescere ogni tipo di fiore e di colore, nessuno predomina sull’altro. Di conseguenza la personalità e l’arte di Frank Zappa non poteva non esserne il collante speciale.
Sei al lavoro su un disco nuovo oppure ti stai dedicando principalmente alle esibizioni live?
In seguito a un cambio di line up nella formazione, tutto è stato un po’ ritardato, di conseguenza anche il lavoro sul prossimo disco.
Diciamo che siamo stati impegnati nei live per tutto quest’anno e lo saremo ancora durante l’estate, dopodiché da settembre cominceremo a pensare al nuovo disco, che comunque è già scritto e pronto per andare in studio.