Erika Finessi e Artiom Constantinov fondano gli We’re all to blame e nel 2012 pubblicano un ep: il duo tastiere voce si incammina sulle strade del rock-pop elettronico con propaggini di sperimentazione, via che percorrono anche con l’esordio su distanza lunga, Fingers of a Broken Hand.
Il nuovo lavoro si compone di otto tracce ricche di visioni galattiche, di buone melodie e di elettronica utilizzata in modo intelligente.
Si parte con un brano dal titolo evocativo, 1984, che introduce al disco con un tappeto elettronico sul quale si innesta un dialogo tra voce maschile e femminile che riporta a certe idee dei Radiohead in epoca Ok computer.
Sunset limited si dipana su una linea malinconica e parzialmente cupa, che procede per ondate successive. La voce di Erika mostra le proprie doti per intero per la prima volta nel disco.
C’è una linea melodica evidente all’interno di Crash, accompagnata però a un sound piuttosto stratificato che tiene il brano al passo con le tendenze contemporanee.
Dust può riportare alla mente alcuni progetti elettronici degli anni Novanta (Kemopetrol per fare un nome), con il pulsare della ritmica e la dolcezza della voce di Erika a instaurare un contrasto stridente.
Pianoforte e cori per la breve Nothing to be done, mentre a spadroneggiare in Mourning sono le percussioni, almeno finché non intervengono dissonanze di tastiera a rannuvolare il cielo.
Rest in silence si muove su percorsi minimal, al contrario di quanto succede con Show me your evidence, che non fa difetto di enfasi almeno in apertura e nelle ricorrenze del ritornello.
Fingers of a Broken Hand è un album piacevole e vivo, frutto di ascolti attenti delle sonorità internazionali degli ultimi anni, scritto con tutta la cura del caso.