Il paese dei camini spenti è il terzo album realizzato dagli Sdang!. Il disco è uscito per DreaminGorilla Records ed Edison Box, sia in formato cd sia in digitale.
Gli Sdang! sono Alessandro Pedretti e Nicola Panteghini, mucisti attivi da parecchi anni sul territorio nazionale in collaborazione con artisti quali Giuradei, Colin Edwin, Paolo Cattaneo, Andrea Morricone, Veronica Marchi, Giancarlo Onorato e Alessandro Sipolo. Nascono come band a due nel 2014, portando avanti il motto “raccontiamo storie senza parlare”.
Dopo aver pubblicato due album (Il Giorno Delle Altalene nel 2015 e La Malinconia Delle Fate nel 2016) e aver suonato su 101 palchi differenti, alcuni dei quali insieme a Colin Edwin (Porcupine Tree, Ork), ritornano con un concept album. Abbiamo rivolto loro qualche domanda.
Sono passati due anni dal vostro ultimo album ma sono stati due anni piuttosto “pieni” per voi, rafforzando la vostra già importante esperienza live, anche suonando accanto a nomi di grande prestigio. Quali sono state le premesse nuovo disco?
Alessandro: Riuscire a condensare i migliori propositi e le migliori idee musicali all’interno di brani più diretti e incisivi rispetto a quelli del passato. Sdang! vive una lenta trasformazione pur mantenendo un baricentro piuttosto solido. Nel nuovo disco potete trovare una tromba, una voce, un pianoforte, un glockenspiel o una batteria elettronica appoggiarsi sulle nostre composizioni finora costruite solo da chitarre e batterie.
Racchiudere gli undici brani del disco all’interno del concept de Il paese dei camini spenti aiuta anche a dare un limite spaziale all’interno del quale lo stesso ascoltatore ha modo di vivere una particolare esperienza d’ascolto.
Deve immaginare di addentrarsi, in un giorno di pioggia, in un paese che pare abbandonato…
Nicola: Le mie non particolarmente positive per motivi personali, e i motivi personali si ripercuotono sulla mia musica. La fortuna di avere delle splendide persone vicino mi ha comunque spinto a insistere e a concludere questo disco. È un po’ il disco della mia ‘rinascita’, mettiamola così. Un paese immaginario o reale in cui abituarsi a stare bene con sé stessi, in solitudine, accarezzando muri diroccati e cortecce di alberi secolari.
Leggendo i titoli dei brani del disco a me sono venute in mente atmosfere tipo film di Mario Bava, horror all’italiana degli anni 70, forse anche un po’ di Ermanno Olmi. Insomma molto cinema: da dove avete preso le vostre ispirazioni (e quelle dei titoli del disco)?
A: Fantastici i film di Bava, me ne ha passati parecchi il mio amico Silvano. Quello dei titoli è un aspetto molto significativo. Usando pochissimo le parole, i titoli sono fondamentali per trasmettere l’input o la poetica del brano.
Pensa a Il meccanismo dell’orologio un brano in bilico tra il math-rock e il funky suonato con cigar box e percussioni. Quel titolo riporta alla complessità che si nasconde dietro all’apparenza. E’ tecnicamente il brano più complesso da suonare perché è strutturato ritmicamente su una partitura che solo a tratti vede allineati i due strumenti principali (chitarra e batteria); ma ha tutta una sua logica, un po’ come le lancette dell’orologio, che soltanto in determinati momenti si sovrappongono.
In assenza di nuvole invece, brano di chiusura del disco, messa a confronto con l’opener che ne richiama il tema musicale Il paese dei camini spenti e che inizia con i rumori della pioggia, serve a rischiarare il disco, come una felice purificazione. Il disco è un racconto musicale, con una sua narrazione interna.
Le musiche invece nascono da jam session in sala prove, poi consolidate nell’arco di qualche prova. Io e Nicola abbiamo raggiunto negli anni un’ottima intesa che ci permette di capire in maniera abbastanza veloce e pratica dove possiamo arrivare e cosa possiamo esplorare. Ci compensiamo parecchio ed è una fortuna.
N: Di Bava ho apprezzato tanti film, soprattutto La maschera del demonio e Shock, o Reazione a catena anche se non credo che i suddetti abbiano influenzato Alessandro, che è di fatto l’inventore dei titoli e del concept.
Al contrario, le sonorità del disco mi sembrano “classiche” ma non “antiche”: che cosa cercavate quando avete iniziato a lavorarci?
A: Cercavamo soltanto di lavorare al meglio delle nostre possibilità, ovvero curare i dettagli, ogni singolo suono. Come e dove inserirlo.
Ora, a noi interessa creare musica che abbia qualcosa da dire a prescindere dai generi. Per i patiti delle etichette ne Il paese dei camini spenti avviso che si può trovare prog-rock, grunge, pop, schizofrenia, musica classica, ma se solo dovessimo inserirci in un genere, sarebbe la fine.
N:Cercavo di fare un disco con brani più corti e orecchiabili, meno metal.
Il brano che mi incuriosisce di più è “Tre vecchie streghe”, forse il più magniloquente del disco. Come nasce?
N: Non me lo ricordo più. Abbiamo registrato tanto materiale, da cui abbiamo tratto delle parti che più ci convincevano. Una volta pronto il brano abbiamo coinvolto Claudia e Fidel per le aggiunte, ci sembrava carino collaborare con artisti che ammiriamo.
Il risultato per quanto mi riguarda è un omaggio alle sonorità metal-grunge degli anni 90, soprattutto Soundgarden. Sono rimasto scosso dalla morte di Cornell. Mi rendo conto che una parte di me, oggi, è convinta che la musica, a quei livelli, con tutto quello che le ruota attorno, rischia di far male.
Diventa suo malgrado il motore incontrollabile che ti porta giù fino alla fine. All’inizio di Macbeth (penso al dramma di Verdi o al film di Welles) la scena si apre con queste streghe che rimescolano un bel calderone incasinando il destino dei personaggi. Sono un simbolo di quello che ci può accadere in ogni momento, a nostra insaputa, un vortice che ti affoga. E spesso chi fa musica è così sensibile che si lascia afferrare, succede a qualsiasi livello, dal personaggio famosissimo al musico di provincia. Per me questo brano è un monito: soffia via le tre vecchie streghe, riprenditi la pace.
A: E’ un brano che ha tutta una sua vita, è dirompente, sinistro, cerca di contenersi ma poi si snoda e sfiorisce in un modo inaspettato. E’ un intruglio maledetto ed è forse uno dei miei brani preferiti di tutta la discografia Sdang! Grazie anche all’eccelsa performance vocale di Claudia Ferretti e alle tastiere di Fidel Fogaroli.
Riprenderete subito a suonare dal vivo? Dove e quando sarà possibile vedervi alle prese con il nuovo album?
Siamo reduci della prima data del tour in Latteria Molloy a Brescia. Abbiamo giocato in casa e ci è andata molto bene. Sul palco con noi c’erano anche alcuni degli ospiti che hanno collaborato al disco, ovvero: Enrico Sauda, Claudia Ferretti, Francesco Venturini e Fidel Fogaroli.
Abbiamo circa una ventina di date fissate e altrettante in trattativa, e per seguirci è molto molto semplice.
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Sdang! traccia per traccia
Dopo l’introduttiva e morbida title track Il paese dei camini spenti, si parte a piena forza con Il campanile oltre la nebbia, girata su un rapido riff di chitarra e poi affinata su ulteriori evoluzioni, tra post rock e influssi math.
Sulle prime, Forse dopo cena verrà la neve cerca di sembrare una canzone tranquilla, ma non ce la fa: l’evoluzione del brano viaggia verso lo psichedelico, con suoni acidi e costruzioni prolungate.
Il meccanismo dell’orologio riporta un po’ di calma, con una chitarra a caccia di risonanze ma anche con una seconda parte notevolmente più animata.
Più inquieta e potente Tre vecchie streghe, rumorosa e contrastata, condita da un finale con urla e di varia natura, come dentro un horror che si rispetti.
Compatta e diretta, Estate – Cartolina prende il primo treno elettrico e concentra i propri sforzi tutti in una direzione.
Continuano i panorami con Teleferica al chiaro di luna, che mescola sonorità acide e sensazioni spettrali con una struttura robusta del pezzo.
La tromba offre prospettive diverse e un po’ di tristezza all’interno di Ruggine sul mulino ad acqua.
Nostalgie di vario livello con Quando le donne stavano ai lavatoi (e non era un bel periodo, ci sia consentito) nervosa e piuttosto ribollente.
Più colorata La festa di San Sebastiano, che lascia entrare anche qualche istante di malinconia in un percorso molto costante.
Si chiude in dolcezza: c’è il pianoforte all’inizio di In assenza di nuvole, breve congedo dal disco.
Gli Sdang! confermano tutto quanto di buono si sapeva già di loro, pubblicando un album curato e intelligente, di alto livello, senza perdere mai la bussola.