Torna SHORTRAKS, la rubrica di TRAKS dedicata a tre dischi usciti da qualche tempo ma che è meglio non perdersi. Questa volta tocca a Emanuele Coluccia, Beta Radio, Dead Cat in a Bag.

Emanuele Coluccia, Birthplace

emanuele coluccia, shortraksBirthplace è il nuovo disco di Emanuele Coluccia. Pianista, sassofonista, polistrumentista, arrangiatore, compositore, direttore d’orchestra, didatta, Coluccia ha condotto la sua carriera parallelamente tra Europa e Stati Uniti, trasferendosi a New York nel 1999 e facendo ritorno in Italia diversi anni dopo. Questo nuovo album è in trio con due compagni di sempre: il contrabbassista Luca Alemanno (Herbie Hancock, Esperanza Spalding, Dee Dee Bridgewater, Joe Lovano, Stanley Jordan, Maria Schneider, Enrico Pieranunzi, Fabrizio Bosso) e il batterista Dario Congedo (Gianluca Petrella, Flavio Boltro, Javer Girotto, Fabrizio Bosso, Nguyen Le, Rosalia de Souza, Gegè Telesforo, Francesco Bearzatti, Rob Mazurek, Lindsey Webster, Antonella Ruggiero, Cheryl Porter, Ron). Una movimentata Oceano apre il disco con il pianoforte a muovere l’aria per primo, poi sostenuto dal contrabbasso.

Si prosegue con Eagle’s wish, che si adagia su alcune morbidezze sonore che sfociano nei vocalizzi di una voce femminile che ricollega immediatamente con l’easy listening e le colonne sonore anni ’60. Oxtlapaltekatl (titolo apparentemente azteco. Ma poi magari si scopre che è friulano) concede alla batteria e alle sue spazzole il giusto spazio, in modo da costruire morbidamente i propri movimenti.

Lejos parte tempestosa e con esplosioni distribuite ovunque. La furia iniziale lascia poi spazio a piccoli vortici e stanze più scure. Alba è un’escursione in territori di ortodossia jazz, benché senza vincoli di sorta, con il virtuosismo di Coluccia che emerge. The promise riporta la calma e la dolcezza a ogni grado e livello. Bright red parte con la sezione ritmica ingaggiata in danze furiose, che poi si ammorbidiscono via via.

Azzurro è una rilettura estremamente libera del classico di Paolo Conte, a dire il vero poco “azzurra” nel senso di poco ottimista. Si chiude con la title track, Birthplace, aperta dal pianoforte e poi morbidamente allargata a ventaglio. C’è molta delicatezza nel disco di Emanuele Coluccia e dei suoi partners-in-crime, declinata in brani che trovano energia dalle piccole cose e dalla cura dei dettagli.

Genere: jazz

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Beta Radio, Ancient Transition

beta radioAncient Transition è l’esordio di Beta Radio: un album incentrato sul lirismo in stile folk, sullo spirito americano e sulla sperimentazione orchestrale. E per confermare tutto questo il disco si apre con Tongue Tied, un brano di leggerezza quasi celestiale, basato su incontri e armonie vocali. C’è un fitto lavorìo di chitarra invece alla base di una più terrena Bees and Swans. Poi la curiosa Sans Land, quasi timorosa ma anche popolata di suoni piccoli e gustosi.

Non particolarmente allegra ma contraddistinta da un tradizionale cling-clang la molto descrittiva Our Remains. Realistic City Living si confronta con realtà espresse in modo soft. Gone for Awhile è altrettanto sottovoce, con qualche leggero gorgoglio di sottofondo e un dobro che risuona più lontano. Più “urlata” (tutto è relativo) la seguente Everyone Around.

All At Once I Saw it All appoggia su piattaforme liquide, conferendo maggiore profondità agli arpeggi. Piglio leggermente più energico quello di On Your Horizon, prima che Wasted concluda il disco con il pianoforte e un’ultima dose di malinconia. Il disco dei Beta Radio, effettivamente, suona un po’ “ancient”, ma questo era l’intento del duo, non impegnato a inseguire mode, piuttosto a trasferire la propria sostanza a canzoni ariose e ricche d’impatto.

Genere: folk, cantautori

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Dead Cat in a Bag, Sad Dolls and Furious Flowers

dead cat in a bagSad Dolls and Furious Flowers è il nuovo disco dei Dead Cat in a Bag, cantori di un folk non convenzionale che mescola influenze e tradizioni provenienti da latitudini lontane. Porte cigolanti che si aprono e fischi lontani introducono una misteriosa Sad Dolls. E’ soltanto l’inizio di un disco cinematografico e strambo, con il passo trascinato e i suoni tra deserto e Mexico di Promises in the Evening Breeze che portano avanti il discorso. Qualcosa del Nick Cave arrabbiato penetra fino a Thirsty, con i bassi che risuonano profondi e si oppongono a un violino addolorato.

A proposito di profondità e di risonanze, ecco pianoforte e voce (cavernosa) su una tristissima e waitsiana Not a Promise. Si viaggia probabilmente su navi di pirati nella molto teatrale The Voice You Shouldn’t Hear. Molto più nera e nuvolosa l’atmosfera di The Place You Shouldn’t Go.

Inizio molto sommesso per Waste, che poi si scatena in una danza senza freni e debitrice nei confronti del folk celtico. Dopo l’escursione francofona e molto straziante di Le Vent tocca a The Clouds, altrettanto intensa e ricca di pathos. Messico e scheletri emergono dalla polvere e dalle onde languide di Mexican Skeletons, ballad con un po’ di Willy DeVille dentro. Furious Flower chiude più con malinconia che con furia. Un album molto ricco e molto ispirato, quello dei Dead Cat in a Bag, con numerose emozioni convogliate in brani che ne sanno fare ottimo uso.

Genere: rock alternative

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