Starship 9, “Starship 9”: la recensione
Dopo aver lasciato intravvedere nel loro ep di debutto Stelvio potenzialità, suoni e binari entro cui la loro musica si sarebbe sviluppata, i romani Starship 9 completano il percorso pubblicando il loro primo, omonimo, album.
Sonorità synth pop retrofuturistiche, ricerca della melodia, atmosfere cinematiche, arrangiamenti stratificati e sperimentazioni psichedeliche trovano spazio nel disco in una miscela sonora senza riferimenti temporali.
Gli Starship 9 sono Ernesto Cornetta e Fabio Fraschini. Musicisti amici di Roma, da sempre condividono esperienze musicali in studio e dal vivo: questo loro primo album è la combinazione tra il loro stile personale e l’ispirazione derivante dalla comune passione per i temi e le melodie delle più oscure musiche da film dall’anima easy listening.
Starship 9 traccia per traccia
Ingresso morbido, orchestrale e molto cinematografico nel disco grazie a Love Premiere, brano che sembra avere più nature sonore diverse, amalgamate bene in un gusto che genericamente si può sottomettere ai criteri del già citato easy listening (c’è perfino il moog).
Il groove cresce con Home again, in cui entra anche un cantato maschile morbido, per un brano soffuso di nostalgie vintage, ma anche capace di riportare a certe rimembranze anni ‘90: possono venire in mente Moby e gli Air, giusto per fare un paio di esempi.
Si passa poi per Andromeda, introdotta da spiegazioni scientifiche d’epoca e diffusa tra costellazioni ammorbidite e nebulose soffici. Si torna sulla Terra con Berlin, che ha un andamento più ruvido di quanto fatto intravvedere fin qui.
Ma presto è tempo di rientrare nei ranghi del vintage con Stelvio, già protagonista dell’omonimo ep e rappresentante perfetta del mood un po’ salottiero ma con propaggini finali cosmiche del sound del duo.
Stereotypes cresce gradualmente sulle percussioni, introduce una voce robotica e da li apre a melodie soft. Malinconie guidate dal pianoforte sono l’ingrediente base di Cinema Roma.
C’è invece il violino (o la viola?) in Grand Hotel, canzone di tramonti sonori ovattati, in cui l’emergere dell’elettronica opera un effetto straniante.
Dedicato a una stella addolcisce ancor più l’atmosfera, pescando a mani piene dai suoni dei 60s e dalle sensazioni ora sintetiche ora analogiche che si sono accumulate nei decenni.
Molto “cantata” Dust and Flowers, che insieme ai sentimenti morbidi, orchestrali e poco più che sussurrati, inserisce un sax e qualche tratto quasi funk. Si chiude con il bonus di Quei giorni insieme, cantato femminile e modi suadenti.
Non limitandosi alla pura nostalgia, gli Starship 9 danno prove di creatività rimescolando spesso le carte e offrendo percorsi alternativi, ma sempre molto eleganti.