Sedici canzoni con testi in italiano e in inglese: Spirali Impazzite è il titolo del nuovo lavoro in studio di Stefano Dentone & Antonio Ghezzani, duo livornese con all’attivo già due album, Teatro Staller e I Pugilatori, usciti tramite Roots Rebels Records rispettivamente nel 2016 e nel 2017. Li abbiamo intervistati.
Siete arrivati al terzo disco: in che cosa è diverso “Spirali impazzite” dai precedenti?
Ogni disco che abbiamo fatto è stato diverso. Teatro Staller era un album registrato in diretta come si faceva ai tempi d’oro del rock e aveva un impianto sonoro davvero “roots” con le nostre sole due chitarre e la voce. I Pugilatori aveva un sound molto classic rock con l’utilizzo della full band e le chitarre elettriche in primissimo piano.
Spirali Impazzite è senza dubbio quello dei tre con l’anima più folk. Ovviamente s’è conservato l’impianto full band e le chitarre elettriche graffiano a dovere, ma è caratterizzante il maggior utilizzo di strumenti acustici e della tradizione come mandola, mandolino e chitarre classiche antiche dei primi del Novecento. In più Spirali Impazzite, a livello di testi, ha molti più elementi che riguardano il nostro vissuto. Questo ultimo è stato un anno davvero intenso per noi e lo si può respirare in ogni parola che abbiamo scritto.
State mantenendo il ritmo di un disco l’anno e in più questo conta su ben sedici canzoni: da dove deriva questa iperproduttività?
Siamo sempre stati produttivi… anche I Pugilatori aveva 16 tracce e Teatro Staller addirittura 19. Siamo due autori prolifici e ci piace fare quello che vogliamo senza curarci delle convenzioni. Oggi un disco deve avere al massimo 12 tracce altrimenti rischi di stufare la gente… noi ce ne sbattiamo altamente! Se abbiamo cose da dire le diciamo e ci prendiamo tutto il tempo per dirle. Essere indipendenti veri (!), come siamo noi, ti permette questi lussi.
Come mai la scelta di scrivere qualche canzone in italiano e qualcuna in inglese?
Quelle in italiano sono sempre di più. Siamo italiani e ci è più naturale farlo, anche se per il rock è più difficile… però il nostro è un genere anglosassone ed è giusto scriverlo anche in inglese. Bisogna vedere la cosa nella stessa ottica della musica folk: la musica napoletana è scritta in dialetto, quella è la sua lingua madre. La lingua madre del rock’n’roll è l’inglese.
Come nasce “Centro benessere”, a mio parere fra le più interessanti del disco?
Centro Benessere nasce da una riflessione avvenuta dopo un periodo di sofferenza. Dal fatto che, quando si soffre, ci si affoga nel tormento… alla fine, proprio l’attraversare questo stesso tormento, diventa catarsi e ci si libera dalle scorie del dolore.
Qual è la versione live del vostro duo? Che cosa si deve aspettare chi vi viene a vedere dal vivo?
Noi siamo due rockettari nel senso tradizionale del termine… quando ci esibiamo live abbiamo tre formule: una full band completa, un trio accompagnato dal nostro percussionista e la versione duo che è quella che preferiamo. In duo siamo semi-acustici con una chitarra elettrica e, appunto, una acustica.
Non ci risparmiamo mai… i nostri concerti sfiorano sempre le tre ore e andiamo fieri di dire che sono concerti veri e propri, perché noi suoniamo soltanto musica originale. Quindi chi viene ad ascoltarci, si deve aspettare un concerto rock vero e proprio. Ci piace suonare dal vivo e crediamo sia la base per ogni musicista. Se non ti piace farlo o se, come si sente dire tante volte, ti stanca, cambia mestiere che è meglio… oppure non fare il rock’n’roll.
Stefano Dentone & Antonio Ghezzani traccia per traccia
Si parte da Lo Schifo, non propriamente una dichiarazione d’affetto verso l’umanità, inquadrata in ritmi di medio rock, con un’attività cospicua del basso. Si passa all’inglese con la blueseggiante KeepOnMoving, in cui è la chitarra a svettare.
L’ultimo vento soffia su una ballata molto intima. Con Le prigioni degli altri si torna invece a mostrare una certa baldanza, anche se voce e testo sono al centro di un brano cantautorale.
Si procede con un rock aperto e quadrato: ecco Incolpato, con il basso a reggere di nuovo le fila. FeelGood, che ha movenze notturne, torna all’inglese e a idee soft.
Qualche influenza di rocker emiliani famosi si nota in Figlio di, altro brano potente ed elettrico. Ecco poi la morbida e ricca di rimpianti Centro benessere, molto concentrata e sommessa, probabilmente tra le migliori dell’album.
L’inglese fa ritorno con Be Bad, ricca per l’appunto di influenze internazionali. Calore torna a toni moderati e a un discorso voce e chitarra che mette in evidenza le radici folk del duo.
Inizi tribali per Damned, che torna ad abbeverarsi alle fonti del rock-blues internazionale, con un drumming particolarmente vivo. Niente ha ritmi molto marcati e qualche tocco cantautorale, nonostante i ritmi alti.
Altro pezzo mobile ecco poi La Zattera, mentre Gagarin si spinge con la fantasia fin quasi alle stelle, mentre gli strumenti tengono la ballad ancorata a terra. Non Credo scarica i rancori residui in maniera elettrica.
Si chiude con la parzialmente ironica, parzialmente orientale, un po’ lisergica Kemikal Buddah.
Sembra evidente che il duo composto da Stefano Dentone e Antonio Ghezzani abbia una capacità notevole di scrittura. Lo si vede soprattutto nelle ballad più scarne, quelle in cui viene a nudo la sostanza del brano, ed è lì che il duo dà il meglio. Ma riesce a mantenere l’asticella alta anche nei brani più mossi.