Stella Diana, “57”: recensione e streaming
Tornano i veterani dello shoegaze italiano Stella Diana: è uscito il nuovo 57, su Vipchoyo Sound Factory (IT) e Siete Senoritas Gritando (ES).
Si tratta del successore di Nitocris (2016), disco che aveva ispirato recensioni entusiastiche. Con cinque album all’attivo, sono una delle band più rispettate nella scena shoegaze mondiale, grazie al loro finissimo songwriting, unito a parti ritmiche ipnotiche e maestose stratificazioni di chitarre.
Band cardine del c.d. movimento Italogaze, che include tra gli altri Clustersun, Rev Rev Rev, In Her Eye, Electric Floor e Novanta, sono riusciti a costruirsi una fanbase internazionale di tutto rispetto pur avendo cantato esclusivamente in italiano fino al 2015 e, mentre continuano a esplorare nuove frontiere soniche, il loro stile rimane immediatamente riconoscibile.
Stella Diana traccia per traccia
Lurine Rae apre il disco con una prima, e presumibilmente non l’ultima, cavalcata elettrica, sorretta da un drumming impetuoso cui fa contrasto la voce, sfumata, eterea e quasi distante.
Si prosegue con Naos, anche qui con un drumming regolare e d’impatto, ma con modi più sfuggenti. Iris parte dal basso, preferisce discorsi meno magniloquenti e più minimal, anche se l’esplosione è dietro l’angolo, e infatti arriva.
Harrison Ford si fa spazio tra sensazioni dark wave, per fare emergere una struttura compatta e questa volta del tutto omogenea. Ludwig invece declina per situazioni oscure e malinconiche.
Elaine procede con modi anche più lirici, mentre il drumming distribuisce colpi isolati ma significativi. Con un titolo che fa evidente riferimento al mondo di Philip K. Dick e alla fantascienza che ha dato origine a Blade Runner, Do Androids… si configura come la più “cosmica” delle tracce del disco, pur rimanendo ancorata a battiti molto terreni e oscuri.
Mrs. Darling riprende colore, calma un po’ le acque, almeno finché non arriva il momento di agitarle ancora. Con Der Sandmann siamo un po’ più là nella storia della fantascienza, con E.T.A. Hoffmann per la precisione: l’uomo della sabbia qui getta fumo negli occhi e una carica elettrica a basso voltaggio che cresce piano, basata sulle sensazioni della sezione ritmica.
Senza soluzione di continuità né di ritmo si passa così alla conclusiva Lost Children, in cui risentimenti e sensazioni sono rimescolati.
Una conferma di esperienza e di classe per gli Stella Diana, capaci anche in questo disco di portare un tocco di internazionalità e di personalità in più rispetto al flusso italogaze.
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