The Blue Hour, “Always”: la recensione #TRAKSTRANGERS
Con il 2018 torna #TRAKSTRANGERS, spazio settimanale riservato a un disco straniero particolarmente meritevole. E questa volta tocca a The Blue Hour con Always: un progetto di stampo cantautorale con utilizzo di elettronica e con ottimo sangue nelle vene.
Brian e Marselle Hodges mixano le ispirazioni di una città sempre attiva dal punto di vista musicale come Seattle, insieme a sentimenti più ancestrali ed esoterici provenienti dalle foreste. Radici folk ed esiti dream pop si concretizzano in un disco dai numerosi volti diversi.
The Blue Hour traccia per traccia
Si parte da una molto intensa One More Mystery, accompagnata da violini e da battiti che insistono sotto pelle. Sensazioni forti e mescolate quelle che propone la seguente Fire on Rooftops, con un sentimento quasi tribale che si muove sullo sfondo e tendenze psichedeliche.
And When I Wake Up calma un po’ le acque, optando per atmosfere che si ricollegano al drum’n’bass. Anche Come Find Me ha un andamento moderato, quasi solenne, con le voci che si mescolano senza sforzo.
La seguente Block Out the Sound ha un background minimal ma rumoroso, con altri riferimenti trip hop. A Ghost Walked in Antwerp è un intermezzo sostanzialmente noise che trova una continuazione di senso in On the Wall, più morbida ed elevata, con un cantato che giustifica qualche paragone con Kate Bush.
False Moon Glow rimescola le carte e mette in evidenza la voce maschile, come sempre su uno sfondo sonoro particolarmente ricco e articolato. Le ascendenze folk sono particolarmente evidenti, benché proposte in maniera eterogenea, con A Tree Stands Alone.
I simboli torreggianti proseguono con l’inquieta ma dolce Tower over me. Si chiude con le evocazioni di Lost Landmarks, triste e con atmosfere rarefatte.
Disco ricco di spunti e d’interesse, quello di The Blue Hour. La ricetta adottata dal duo segue linee evidenti, ma non per questo scontate. Il risultato è un disco dai suoni moderni ma dalle radici profonde.