The Lansbury: osservando la società scivolare in un lento declino

the lansbury

Sei canzoni spesso molto ruvide, attente alla realtà attuale, soprattutto a quella più drammatica, voglia di urlare: in estrema sintesi questo può essere Alterazione, l’ep che segna l’esordio di The Lansbury, trio torinese con forti radici nell’alternative rock. Li abbiamo intervistati.

Ciao ragazzi, vogliamo riassumere chi siete e come siete arrivati fino ad “Alterazione”, il vostro primo ep?

Ciao a tutt*! The Lansbury nasce nell’inverno del 2016 con Davide, Oscar e Luigi. Inizialmente avevamo dei testi scritti da Davide, la maggior parte dei quali scritti in un periodo in cui forse ancora non c’era un’idea di un progetto preciso. Con il tempo, dopo determinate esperienze vissute in prima persona e osservando la nostra società scivolare in un lento e già avviato declino, abbiamo sentito la necessità di esporci, di denunciare determinate situazioni.

Morti in mezzo al mare, violenza di genere, omo e trans-fobia, una politica estremamente cieca e disinteressata alle condizioni sociali disastrose in cui vivono, purtroppo, troppe persone di qualsivoglia etnia, tutto questo ci procura un senso di inadeguatezza che ci ha spinto ad allontanarci dall’idea che non sia possibile fare nulla, che sia più facile immaginare la fine del mondo che della società capitalista.

Da qui nasce Alterazione: la speranza è che il suo ascolto possa in qualche modo alterare, appunto, una condizione di attesa e invogliare all’agire, all’impegno attivo per risollevare le sorti di questo paese che sembra avvicinarsi lentamente a una forma simile al “mondo nuovo” che Huxley descriveva negli anni ’30 del 1900.

Avete già estratto tre singoli dall’ep. Che cosa c’è nel “resto”?

Nel resto si prova ad affrontare un aspetto più personale. Per esempio in “Si perde” e “Alterazione” si parla di relazioni, con un’altra persona o con se stessi, e di come la ricerca del sé e dell’empatia con l’altro abbiano spesso poco spazio in un mondo così frenetico che lascia poco spazio alla riflessione e alla rielaborazione di certe esperienze; “Spettri” è di una sorta di dialogo con qualcuno (o qualcosa) che vorrebbe dimostrarsi interessato e preoccupato ai disagi dei cosidetti ultimi, ma su cui nella pratica, infierisce nel peggiore dei modi, trascinando nel baratro tutti i percorsi di lotta che negli anni ci hanno permesso di sperare in un mondo più giusto

Un paio di brani si allungano oltre i sette minuti. Frutto di briglie sciolte in studio o è stata una scelta progettuale?

Più che briglie sciolte abbiamo voluto lasciare alla musica l’espressione di determinati stati emotivi che nascono dall’incontro con i temi che vengono affrontati. Di conseguenza, pur consapevoli che al giorno d’oggi i brani rimangono spesso entro un certo minutaggio, abbiamo pensato che fosse rischioso tentare di semplificare troppo determinate complessità e per trasmettere determinate sensazioni abbiamo voluto sviluppare il tutto nello spazio che ritenevamo opportuno. Poi forse dipende dal fatto che non abbiamo troppe abilità di sintesi, chissà.

I vostri testi spesso fanno riferimento all’attualità e alla realtà circostante. Lockdown e pandemia, da questo punto di vista, sono stati un freno o una motivazione in più?

I brani nascono in un periodo precedente a quello pandemico. Da questo punto di vista possiamo dire che lo stato attuale delle cose ha in un qualche modo confermato il nostro punto di vista. Pensiamo all’ennesimo naufragio dei migranti di inizio mese, a come hanno ridotto la sanità pubblica, agli sfratti in pieno periodo pandemico di tutti quegli spazi sociali che hanno creato realtà di mutualismo, di solidarietà e organizzazione dal basso che hanno permesso alle parti più deboli della società un sostegno reale del tutto inesistente, invece, da parte delle istituzioni. In un qualche modo, tutto questo, ci ha spinto a impegnarci ancora di più a comporre brani nuovi.

Posto che la situazione dei live la conosciamo tutti, siete favorevoli al surrogato dello streaming oppure contrari?

E’ difficile dirsi del tutto contrari. I musicisti a oggi sono impossibilitati nell’esibizione live quindi per farsi sentire devono mettersi online. Ma questa modalità funziona? Ce lo chiediamo perché nel guardare diverse dirette, magari in pagine con migliaia di followers, abbiamo notato che gli ascolti rimanevano bassissimi. Mi connetto, ascolto un minuto, magari mando una reaction, e poi stacco. Un’attenzione del genere ha senso? Valorizza il lavoro dell’artista o lo rende preda dei meccanismi di mercato? Ci sembra che nel mondo online ormai ci siano tanti potenziali partecipanti che però non ascoltano e non leggono più, e forse lo streaming rischia di contribuire al diffondersi di questa attitudine.

Bisognerebbe forse creare delle apposite piattaforme perché si indirizzi nuovamente la musica verso una forma artistica piuttosto che trattarla come un mero prodotto commerciale che segue il trend del mercato e dell’algoritmo. Per questo apprezziamo l’incursione in metropolitana che c’è stata a Torino da parte di alcune musiciste come Francesca Siano.

Con un’azione semplice, suonando nei mezzi pubblici affollati, è stata dimostrata tutta l’incoerenza e l’incapacità delle istituzioni che bloccano gli spettacoli nonostante contassero un solo contagio su quasi 350 mila partecipanti nei mesi successivi alla prima ondata, ma che lasciano via libera ad attività produttive di consumo utili solo ad ampliare le differenze di vita tra chi per vivere deve fare una fatica immane e chi anche in periodo di crisi accresce il proprio capitale.

Che cosa succede adesso? Un lp oppure altri singoli ed ep?

Stiamo già lavorando all’idea del nostro primo album. Qualche singolo sicuramente verrà fuori, ma non abbiamo fretta, per ora vogliamo vedere come va Alterazione.

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