Molto giovani, ma con un’esperienza live molto consistente alle spalle, il quartetto veneto The Slaps ha pubblicato Declaration of Loss, un lp da nove tracce in cui mette a fuoco le proprie mire in campo rock, tra il garage, il punk, lo psych. Li abbiamo intervistati.
Potete riassumere la vostra storia fin qui?
Ci siamo formati quando eravamo alle superiori, a 16 anni, l’idea era quella di formare un gruppo punk, i nostri idoli erano Clash e Ramones, però fin da subito facevamo anche cover degli Strokes e ascoltavamo molta musica contemporanea. I bagni di folla al Liceo erano la soddisfazione maggiore di quel periodo, poi dopo un paio d’anni abbiamo deciso di registrare finalmente il primo ep omonimo, grezzo e tagliente, ma alcuni pezzi riarrangiati li suoniamo tuttora live.
Da lì abbiamo iniziato a suonare parecchio in giro e a macinare più date possibile; nell’agosto 2015 il nostro batterista storico Federico Securo lascia la band, ed entra Sebastiano Facco; con lui abbiamo rimaneggiato alcuni pezzi che avevamo in repertorio e scritti di nuovi, cercando di lavorare molto di più sul sound, più ricco e avvolgente, e sulle strutture delle canzoni più complesse.
Finalmente era ora di incidere il primo lp, Declaration Of Loss’, presso il Lemon Recording Studio di Castelfranco Veneto (TV), con Edoardo ‘’Dodi’’ Pellizzari, che ci ha dato una mano anche in fase di preproduzione e che ha dato un contributo importante per definire il sound del disco. L’anno appena trascorso è stato di grandi soddisfazioni, abbiamo avuto l’opportunità di suonare in eventi importanti come Home Festival, Sherwood, Suoni di Marca e Lago Film Festival.
Come avete affrontato il lavoro su “Declaration of Loss”? Con quali umori e sensazioni?
La sensazione è sempre stata quella di grande esaltazione, registrare il primo vero e proprio disco è un grande passo per un musicista, ci devi mettere dentro tutto quello che hai, alla fine è come aver impresso una parte della tua vita in qualcosa che poi in molti ascolteranno. Poi la registrazione è il culmine di un lungo percorso, e già quando inizi a scrivere i pezzi non vedi l’ora di registrarli per sentire come potrebbero essere. Ed è anche un momento molto creativo, in cui metti a frutto tutta l’esperienza che hai maturato come musicista, molti dei suoni del disco sono stati elaborati in studio in diverse ore. Il momento più bello è la prima volta che ascolti la traccia completa di tutti gli strumenti, e senti che sei sulla direzione giusta e che l’energia che hai messo nel pezzo esce fuori.
Quali sono state le difficoltà maggiori che avete incontrato nel realizzare il disco, se ci sono state?
Le difficoltà principali sono quelle che riguardano un po’ tutte le band, ovvero la difficoltà dell’affrontare tutto il percorso che porta alla registrazione di un disco, dalle date, dal mettere in cassa i soldi sufficienti, al provare e riprovare i pezzi, a stravolgerli quando senti che non funzionano, a rimanere bloccati per alcuni periodi causa studio o lavoro. Sono cose normali, e non ci siamo mai abbattuti e devo dire che il disco è stato registrato in un clima molto positivo.
The Slaps: brani che nascono da schitarrate
Come nasce “My Lack of Will”?
Il pezzo nasce come quasi tutti i brani del disco da delle schitarrate di Paolo (cantante) in camera sua, poi una volta in sala prove si aggiusta la struttura e la si arricchisce, si decidono i suoni e si fanno gli arrangiamenti. Il pezzo è un chiaro richiamo agli anni ’90, in un periodo in cui ascoltavamo molto Pavement e Smashing Pumpkins. E’ uno dei pezzi su cui abbiamo dovuto lavorare di più anche in studio a livello di suoni e di ritmiche.
Potete raccontare la strumentazione principale che avete utilizzato per suonare in questo disco?
Un’altra parte estremamente divertente del realizzare questo disco è stata proprio l’utilizzare strumentazione eccezionale in studio! Abbiamo registrato con numerose chitarre, principalmente con una Fender Telecaster Thinline del ’72 e una Gibson 335, e numerosi pedalini tra cui un Memory Man vintage; abbiamo usato diversi amplificatori tra cui un Vox AC30 e un Marshall Plexi. Abbiamo microfonato gli strumenti con microfoni di altissima qualità (alcuni dei quali provenienti direttamente da Abbey Road!). Tutti i suoni del disco, chitarre basso batteria e voci, sono passati attraverso alcuni preamplificatori vintage che hanno dato corpo e calore.
Potete descrivere i vostri concerti?
Per noi sul palco è fondamentale trasmettere energia. Sia perché veniamo da una ‘’formazione’’ punk, sia perché le nostre canzoni non avrebbero senso altrimenti: sono uno sfogo, un’evasione dalla quotidianità. Sempre per questo motivo un’altra cosa per noi essenziale è il ‘’wall of sound’’, il suono deve essere avvolgente e impattare, anche violentemente, sul pubblico.
Chi è o chi sono gli artisti indipendenti italiani che stimate di più in questo momento e perché?
Ci piacciono molto i Verdena in quanto sfornano sempre dischi sorprendenti, Sebastiano è un fan de il Teatro degli Orrori sopratutto per le ritmiche e per la parti di batteria, mentre Piercarlo apprezza molto band più pop come TheGiornalisti e I Cani.
Potete indicare tre brani, italiani o stranieri, che vi hanno influenzato particolarmente?
Wavves – King of the beach
Cloud Nothing – Stay Useless
Nirvana – Lithium