I torinesi The Spell of Ducks pubblicano il loro primo disco completamente in italiano, Ci vediamo a casa. Dopo l’ep Soup, nella band cresce la voglia di riavvicinarsi a una forma espressiva più autentica, in cui ci sia spazio per l’ispirazione che viene dai Mumford and Son ma anche da Brunori Sas, da Nathaniel Rateliff ma anche da Mannarino.
Al nuovo disco, dal concept grafico ben preciso e dal forte carattere narrativo, hanno collaborato l’illustratore Cesco Rossi e l’attrice Olivia Manescalchi con un podcast nel quale recita i testi dei brani. L’album segna un capitolo nuovo per la formazione che si mette a nudo, eliminando ogni filtro.
The Spell of Ducks traccia per traccia
Si incomincia con Scarpe nuove, che riporta a casa influenze “americane”, che vanno dal folk al jazz, per una passeggiata un po’ nervosa.
Ritmi non dissimili quelli di Every Sunshine, che ha voglia di raccontare, con il pianoforte a fornire una copertura sonora.
Si parla di amori non corrisposti nella molto dolce Chissà, ballata acustica che modula il dolore con calma. A parte quando parla di calci nei coglioni.
Il banjo aiuta a salire su La casa sull’albero, che ha qualche sapore aspro ma richiama ricordi buoni.
Piuttosto struggenti toni e voci che si leggono all’interno di Johnny, che si solleva in un crescendo di archi e fiati vagamente tex-mex.
Milde Sorte si inoltra nel folto di situazioni sonore profonde e piuttosto oscure, con parole che parlano di sciacalli, santoni e sigarette.
Si furoreggia un po’ con Vivi immobile, che ha suoni folk-country ma un atteggiamento impetuoso, parlando di nugoli di gente, assembramenti ideali perciò legali, con una ritmica trascinante. Non ho capito se “la vita è una onda” o “la vita è una Honda”.
Prendere e partire si incammina su sentieri polverosi, che presto diventano corali, solcando strade sudamericane che sembrano alludere a un certo Comandante. Si chiude con una breve Outro strumentale.
Un andamento per lo più morbido e pensoso ma mai spento, quello sul quale si dipana il disco di The Spell of Ducks, che scelgono giustamente l’italiano per trasmettere sensazioni universali, anche se nascoste a volte sotto un cappello da cowboy.