Esce per Trovarobato/Audioglobe Casa, Finalmente, il primo disco di Tobjah, nome d’arte di Tobia Poltronieri, noto per essere tutt’ora uno degli agitatori musicali più attivi d’Italia con il collettivo veronese C+C=Maxigross.
Così il comunicato stampa: “Questo disco narra di un viaggio, forse, ma soprattutto del ritorno a casa e alla propria identità. Ed è un grande racconto di ritorno dove il mare attraversato è il mare del lavoro artistico, del mestiere semplice e complesso di scrivere canzoni. La nave usata per solcare il mare è la più affidabile: una chitarra Martin D-18 del 1973”.
Il disco è nato dal vivo, nella primavera del 2017, in un lungo tour fatto di piccoli e intimi concerti. Quando i brani sono arrivati in studio, sotto la guida di Miles Cooper Seaton e Marco “Juju” Giudici (i due produttori del disco), erano stati interiorizzati e avevano cambiato aspetto e consapevolezza.
Tobjah traccia per traccia
Si parte da Io mi muovevo, lento e fluttuante brano in cui la particolarità del cantato, con vocalizzi estremi e “strumentali”, prende il sopravvento su sonorità che sanno di ambient, meditazione orientale e psichedelia.
Giuro non so che fare esprime, a dispetto del titolo, qualche qualità di determinazione in più, pur inserendo un cantato quasi sottovoce in un panorama sempre morbido e lo-fi. I fiati slabbrano i confini del brano.
Si regge su percussioni particolarmente fitte ma sottili La canzone del melograno, con sentimenti e sensazioni che hanno prospettive jazz. Non so dove andrò torna a esprimere sentimenti di incertezza aiutandosi anche con un violino e un battito che di nuovo sa d’Oriente.
C’è una donna nel mio cuor conserva soltanto la struttura minimale e acustica, rimettendo la voce al centro, con modi languidi ed echi di ballata antica.
Si basa sull’iterazione Come faccio a respirare (ma anche qui c’è un “non lo so” a continuare il filo rosso delle “ignoranze” espresse dal disco).
La title track Casa, finalmente torna a perdersi in figure tremolanti quanto la voce di Tobjah, con una sensazione di indeterminatezza che si diffonde nonostante il ritorno a casa ormai avvenuto.
Congedo particolarmente oscuro e quasi funereo quello di Forte luce, un passaggio a zone ulteriori su tinte di nero.
Con un viaggio temporale e di senso, Tobjah sembra essersi proiettato nei 60s di Drake, Buckley, di John Martyn, pescando dal folk ma affumicandolo dentro nebbie psichedeliche. Da questa visione incerta escono le certezze di canzoni interessanti e originali, per un lavoro molto denso e suggestivo.