Si chiama Monolite l’ep d’esordio degli Unità di Produzione. L’autoproduzione registrata tra Melghor e No Elevator studio contiene quattro pezzi che si fanno influenzare volentieri da new wave, post punk, rock alternative con qualche frangia psichedelica. Abbiamo provato a conoscere qualcosa di più della band scambiando quattro chiacchiere con loro.
Potete riassumere la vostra storia fin qui e spiegare il nome della band e il titolo dell’ep?
Possiamo dire che siamo una doppia coppia di amici di lunga data, fino ad ora non abbiamo fatto altro che chiuderci in un bunker ed una volta li suonare più possibile.
“Unità di Produzione” è in primo luogo una citazione del omonimo brano dei C.S.I. , in secondo luogo bisogna tenere in considerazione che la nostra band è composta per tre quarti da persone che vengono da un percorso di studi fondamentalmente tecnico, così la scelta di questo nome è stata un modo per sentirci legati all’affascinante immaginario del decadentismo industriale.
Il MONOLITE scelto per identificare questo primo lavoro in studio vuole rappresentare il nostro stupore durante la scoperta delle nostre attitudini e gli orizzonti circostanti in una sorta di eccitazione tribale come quella dei primati kubrickiani nel celeberrimo 2001 Odissea nello spazio di fronte all’inatteso oggetto. Il nostro è ancora oggi un costante sforzo alla ricerca di suoni che giungano all’ascoltatore come qualcosa d’inimmaginabile, qualcosa di astratto e sconosciuto ma allo stesso tempo fisico e imponente.
Quali sono state le fasi, gli umori e le sensazioni che hanno caratterizzato la realizzazione dell’ep?
MONOLITE è stato un percorso piuttosto tortuoso incominciato durante l’autunno dell’anno scorso si è dovuto scontrare con la nostra vita, i nostri impegni personali e l’inevitabile cambiamento che da allora a oggi ha coinvolto il nostro suono.
Ascoltarlo oggi è come rivivere il nostro recente passato, quelli contenuti nell’ep sono tra i primissimi brani che abbiamo composto insieme, nel corso dell’anno passato dall’inizio delle registrazioni a oggi abbiamo suonato e scritto molto di conseguenza siamo cresciuti e tutto ciò non fa altro che rafforzare in noi la sensazione che questo ep sia qualcosa di primordiale e istintivo.
Nel disco si avvertono influenze da tutta una fetta dell’alternative, in particolare un certo vento proveniente dalla dark wave, italiana e no. Quali sono i vostri punti di riferimento?
Nel periodo in cui sono stati scritti questi brani siamo stati influenzati da dischi come Script of the Bridge (The Chameleons), La Voce del Padrone (Battiato), Siberia (Diaframma), Brighter Than a Thousand Suns e Night Time (Killing Joke) poi tra i nostri punti fermi ci sono senza ombra di dubbio su tutti C.S.I. , Radiohead e Interpol.
Come nasce “Il gigante”, a mio parere uno dei vertici del disco?
“Il gigante” è un brano che parla delle difficoltà che spesso si vivono esprimendosi sinceramente, soprattutto riguarda le verità più scomode e irritanti che nella gran parte dei casi sono palesi ma nonostante ciò si cerca a ogni costo d’ignorarle per non divenire impopolari o spiacevoli.
Potete raccontare la strumentazione principale che avete utilizzato per suonare in questo disco?
E’ necessario partire dal presupposto che siamo dei mezzi fanatici dell’effettistica, e in particolare di delay e riverberi cosa che inevitabilmente plasma i nostri suoni; i ragazzi del No Elevator Studio non hanno avuto vita semplice nel tentativo di arginare la nostra “esuberanza effettistica”. All’interno dell’EP abbiamo utilizzato soprattutto delay, reverberi, reverse, tremoli, blender passando per distorsioni, overdrive, e fuzz.
Chi è o chi sono gli artisti indipendenti italiani che stimate di più in questo momento e perché?
Domanda alla quale è difficile rispondere in quanto ci sono veramente una miriade di band straordinarie e meritevoli che popolano il circuito indipendente, dovendo citare soltanto alcuni la scelta cade su Luminal, Moostroo, Sonars, e Capre a Sonagli; tutti autori di splendidi dischi negli ultimi anni.
Unità di produzione traccia per traccia
Filtrata ed elettrica, L’età dell’oro apre il disco con profonde influenze indie. La tematica è mitologica, il sound qui e là brilla di luci vintage. Risonanze più profonde, maggiore incidenza del drumming e sonorità piùà contemporanee ma anche più psichedeliche caratterizzano Il gigante, in cui emergono anche influenze della dark wave italiana e internazionale (e una citazione da Caterina Caselli, nientemeno).
Con Frullatore emerge qualche punto di contatto con rock band più recenti, per esempio i Marlene Kuntz, e anche buone punte di acido. L’ep si chiude sui suoni lunghi di Inverno, ancora passibile di contaminazioni new wave e di una certa oscurità di fondo.
L’ep è significativo per personalità, scelta di sonorità e talento espresso. Quello regalato dagli Unità di Produzione è poco più che un assaggio, se vogliamo, ma un assaggio interessante e in qualche modo potente. Sarà interessante seguire le prossime evoluzioni della band.
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e la disco anni 80?e la disco anni 80?
Tragicamente mancata all’affetto dei cari.