The Bomb Exploded Here segna il ritorno dei Veronika Voss, alternative band pugliese degli anni Novanta. Il disco rappresenta l’ultima registrazione della band, avvenuta nel 1995.
Veronika Voss esplose nella mente di due ragazzini di Taranto in una sera fredda (‘più fredda della morte”, come l’amore) del 1992. Incapaci di suonare e di cantare, le prime canzoni non volevano essere altro che un pretesto per bruciare tutto quello che ci fosse stato prima e farlo quanto più pubblicamente possibile. I due non potevano immaginare che, in brevissimo tempo, questo embrione situazionista pensato come un omaggio a un film del loro regista preferito avrebbe preso vita propria e camminato sulle proprie gambe, che da quattro presto diventarono otto, assumendo forme insospettate grazie a cuori, cervelli, mani, muscoli e nervi ben oltre quelli dei componenti del gruppo stesso.
Così cominciò un rapporto magico tra li gruppo e la città, entrambi entità coi piedi sul cemento, le narici in altoforno, gli occhi e le orecchie sul mondo. Taranto ha dato quasi tutto ai Veronika Voss suo malgrado: cosa hanno dato i Veronika Voss a Taranto? La città non li ha mai riconosciuti istituzionalmente, ma quei tantissimi, infiniti ragazzi che venivano ai concerti, compravano i dischi e le cassette, pogavano e cantavano So What, Shell e Antipop a squarciagola e che oggi sostengono di aver avuto la vita cambiata da questi quattro giovani terroristi che facevano esplodere amplificatori e distruggevano batterie, citavano Fassbinder e Alda Merini, ma sembravano una innocua e colorata pop band – combinazione inedita a Taranto e in Italia allora – erano e sono il vero, profondo legame tra questa musica e questo territorio così stuprato e abbandonato quanto amato e ogni volta ritrovato.
“The Bomb Exploded Here” è l’ultima registrazione in studio della band, datata 1995 e inedita su supporto, conosciuta dai più intimi come “The Aladar Sessions”, quì rimasterizzata e per la prima volta su vinile.
Una fotografia dei Veronika Voss alla massima potenza, un attimo prima di sospendere le operazioni per lanciarsi nell’età adulta, valutare possibilità alternative, intraprendere percorsi personali che oggi, qualche decennio dopo, riportano i quattro nel punto esatto in cui si erano detti addio, a guardarsi con un sorriso canagliesco e complottare il futuro insieme.
Veronika Voss traccia per traccia
Un atteggiamento punk con indizi art rock e con molte distorsioni segna l’apertura dell’album, con Spermspit, scelta anche come singolo di apertura del lavoro. C’è un giro particolarmente muscolare a sorreggere Magazine Pasta, che segue e porta altri livelli di aggressività; ma il brano prende anche pieghe più lente e depresse verso il finale, salvo poi ripartire alla carica.
Un momento di calma si incontra all’inizio di Shell, ma è una breve illusione perché poi il drumming spinge il brano su percorsi molto tortuosi e vibranti. Ritmi più ragionati quelli di (Taking a shine to a) Jelly Boy, che però scava a fondo e con intensità, mettendo a contrasto un cantato “in minore” e suoni piuttosto roboanti.
Con Screw ci si scontra con un lavoro particolarmente intenso e continuo della sezione ritmica, per un pezzo tagliente e nuovamente distorto. A chiudere, ecco Space Limbo, più aperta e ambiziosa, contrassegnata da un lavoro molto frontale della chitarra, in puro campo post punk.
Benché il disco risenta delle sonorità dell’epoca in cui è stato realizzato, è innegabile l’attualità del lavoro dei Veronika Voss, che si riportano a galla con sei pezzi (non troppo) facili, portando con sé un mondo rock e alternativo che non è mai realmente terminato e che ha sicuramente ispirato molte band dopo di loro.