Westfalia, “Odds and Ends”: recensione e streaming

Dopo cinque singoli rilasciati nell’arco del 2024, i Westfalia sono pronti a pubblicare il loro primo album sulla lunga distanza: in uscita con il supporto di Sputnik Music Group ed Altafonte, si intitola Odds and Ends ed è un lavoro che segna un punto di svolta rispetto
al passato della band, all’insegna di un’evoluzione sonora che percorre una strada del tutto distintiva.

Nel limbo di una vetrina polverosa, in un remoto negozio di seconda mano, dieci oggetti sono sospesi al di fuori del tempo nell’attesa di trovare un compimento alla propria esistenza. La storia di ciascuno di essi è quella di una lotta per la sopravvivenza, chi alla ricerca di un senso, chi di una giustificazione e chi di un antidoto alla solitudine. In fuga dalla frustrazione, qualcuno finirà per accettare il proprio destino come un moderno eroe omerico, altri si dimostreranno disposti a tutto pur di riuscire infine a prevalere. Questo non-luogo, questo purgatorio dell’antiquariato, è lo scenario che abbiamo scelto per indicare il cambio di rotta che il nuovo album rappresenta per noi

Westfalia traccia per traccia

Schermaglie parecchio rumorose quelle che contraddistinguono Alligators, che apre il disco in modo ruvido ma con qualche tentazione psichedelica qui e là.

Un po’ più ragionata quanto a ritmi la seguente Berluschoney, che sembra alludere a un ex premier scomparso e presto santificato (a scanso di commenti: sì, ho capito che è un gioco di parole con Berlusconi, grazie). Il brano è movimentato, con riflessi da dancefloor e un lavoro sonoro a più livelli.

Giocata su sensazioni quasi synth pop, ecco poi Odds and Ends, title track dai suoni vintage e dalla dialettica spigliata. Molto più oscura, e parzialmente più pop, la logia secondo la quale si muove Sunflowers.

Si procede con Vices, che mostra un vasto range di colori, in cerca di un’identità precisa. The Monster gioca con le voci e con i ritmi, con un’attitudine ironica e piuttosto giocosa, ma anche con una fondazione ritmica piuttosto solida.

Una dose di dramma invece entra nelle logiche di Bummer, che fa ancora riferimento al synth pop, ma con interventi hip hop e una fioritura sonora piuttosto peculiare. Little prince segue gli istinti del basso per inserirsi in un percorso particolarmente scintillante.

Con qualche memoria cinematografica, ecco Parasite, che ha un incedere piuttosto enfatico prima di lasciare spazio alla voce, ma anche qui il synth prende uno spazio consistente, con scenari sempre mutevoli e piuttosto aggressivi.

Bassi profondi e altre battaglie contraddistinguono l’apertura di Men’s favourite sport, che fa pensare a sensazioni depechiane anche per il cantato. Corre veloce D-End, che invece fa pensare un po’ ai Blur, ma con atteggiamento particolarmente pugnace.

Rispetto ai Westfalia ho sempre avuto, anche prima di X Factor, l’impressione di un enorme potenziale mai completamente esplorato. E tutto sommato questo disco, che è complesso, articolato, a suo modo affascinante, non fa che confermare l’impressione: ottimi a livello strumentale e vocale (ma mi piacciono di più le parti cantate di quelle parlate/recitate), molto creativi, capaci di variare registro quasi all’impronta, lasciano però l’impressione che manchi sempre qualcosina per fare il definitivo salto in avanti. Ma ce la possono fare.

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Genere musicale: alternative

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