Yo Yo Mundi, “La rivoluzione del battito di ciglia”: la recensione
E’ da un po’ che se ne parla di questo disco: abbiamo iniziato a chiacchierare con Paolo Enrico Archetti Maestri de La rivoluzione del battito di ciglia qualche intervista fa, quando forse ancora non si chiamava così. Poi ovviamente la pandemia, oltre ai dettagli tecnici, hanno rinviato la rivoluzione.
Ma eccolo qui, il nuovo album degli Yo Yo Mundi, il diciannovesimo della discografia della band piemontese. Sostenuto con un crowdfunding riuscito in modo trionfale, l’album arriva nell’anno in cui il gruppo celebra i 31 anni di attività, una carriera lunghissima che li ha visti realizzare anche musiche per numerosi spettacoli teatrali, colonne sonore per documentari, oltre che importanti sonorizzazioni e rimusicazioni di diversi film muti.
Il disco è l’alfiere di quella Rivoluzione Gentile che Archetti Maestri prefigurava parlando con TRAKS già nel settembre 2018. Con una serie di proposizioni per il futuro che spaventano i cuori pavidi, ma suonano bene accanto a questo disco:
“Ripartiremo dalla collaborazione, dalla solidarietà, dall’intreccio delle arti e dal lavoro collettivo, nasceranno movimenti, produrremo manifesti, ci aiuteremo l’un l’altro, torneremo ad agire in orizzontale, rovesciando l’orrenda torre verticale dello share e del profitto. Tornerà la possibilità di scegliere – quella vera, senza artifizi e cookies – e non ci faremo più imporre niente dalle leggi grondanti di nulla di un mercato moribondo.
E ci riprenderemo tutto, con gli interessi, conquisteremo spazi, inventeremo nuove forme di democrazia, uccideremo l’ovvio, faremo strage di banalità e scurrilità e la qualità, il sogno, la creatività, la libertà espressiva, l’arte e la cultura torneranno a diffondersi liberamente in Italia e nel pianeta tutto. Io non ho dubbi, lotterò per questo ogni giorno della mia vita“.
Yo Yo Mundi traccia per traccia
“Alle finte che nascondono il pallone”: è ben nota la fede granata di Archetti Maestri, ma appena morto Maradona è difficile non pensare alle movenze del Diego, celate all’interno di Ovunque si nasconda, primo singolo e canzone d’apertura del disco, la quale del resto cita altri artisti capaci di annidarsi anche nel proprio lato oscuro come De André, Fenoglio, Pazienza. Archi ed elettricità per un brano che in realtà è più dinamico che nostalgico.
E a proposito di innovatori e di gente che vede il mondo sottosopra, ecco Fosbury, morbida e plasmata di suoni, dedicata al ben noto saltatore in alto che capì che saltando di spalle anziché di fronte sarebbe arrivato più in alto. Cornamuse e fiati a completare il discorso.
Spaesamento cerca punti di riferimento. “Inciampo e cado sulla scia della coerenza”, si canta, ma la canzone in realtà si costruisce attorno alle speranze, soprattutto. Certo ci sono rimpianti e macerie, ma c’è anche una forza propositiva, che a ben guardare nella storia degli Yo Yo Mundi non manca mai.
Si viaggia sul territorio con Il paradiso degli acini d’uva, che parla di vino, concetto molto presente nella zona del Piemonte meridionale da cui la band arriva. La canzone si trasforma in una sorta di favola leggermente alcolica: si aleggia sugli archi. “Il vino è un concetto solido/un liquido pensiero”. E di concetti solidi c’è molto bisogno, par di capire.
Chitarra e un po’ di spensieratezza aprono Il respiro dell’universo, altro brano che riesce a essere contemplativo senza mai restare immobile. “Semplicemente amore”: un ossimoro a chiudere il brano, in modo appropriato.
E a questo proposito: ecco una più drammatica Bacio sospeso, racconto d’alcova ma con dolcezza e un velo di malinconia. Un po’ di elettricità e una vocalità corale, oltre a un ritmo sommesso ma battente, contrassegna una curiosa Il silenzio che si sente. Un brano che esplode poco a poco, mettendo in evidenza tutti i lati folk della band, ma anche un po’ di pop, che non dispiace affatto.
Cori muti all’inizio di Lettera alla notte, che cambia completamente atmosfere. “Sarà la luce che filtra dai buchi del cielo”: un brano che parla al futuro, arricciato attorno ai suoni cristallini della chitarra, rafforzato dai cori.
Rimane su discorsi notturni Ninna nanna del filo, canzone tessile e quasi tattile, che accompagna verso i sogni. Si approda a una sorta di combat folk con VCR (alias “Valle Che Resiste”), insieme alla voce di Marino Severini dei Gang, dedicata alla Val di Susa e alla sua secolare battaglia (se la ricorda ancora qualcuno, la fondamentale utilità della TAV?)
Si chiude con Umbratile, che parte pianissimo, tratteggiando con delicatezza, e poi esplode di suoni in un finale apocalittico e quasi noise.
Siamo abituati a fare recensioni al primo ascolto, perché affezionati alla prima impressione che un disco porta con sé. Ma con un disco come quello nuovo degli Yo Yo Mundi questo metodo rischia di essere un po’ limitante perché di sfumature da esplorare ce ne sono indubbiamente molte.
Quello però che si intuisce fin da subito è la capacità della band di fare (ancora, dopo più di trent’anni) passi avanti a livello sonoro e non solo, mantenendo però integra la storia che un gruppo, un assortimento di persone di questo genere si porta dietro.
E il risultato è un disco omogeneo, coerente, frutto di un lavoro ricco di consapevolezza, con tante canzoni solide e buone, profumate di pane fresco e orgogliose. La rivoluzione può essere fatta anche di piccoli passi, anche di battiti di ciglia, se si sa da dove si parte e dove si vuole arrivare.